29 marzo 2024
Aggiornato 06:30

Confindustria, CSC: con la riforma aumenti di 2.523 euro

«I calcoli della Cgil, sono parziali e guardano al passato»

ROMA - Un aumento di 1.031 euro (79 euro lorde al mese) contro la perdita di 1.350 euro denunciata ieri dalla Cgil. L’applicazione corretta del nuovo modello contrattuale delineato dall’accordo del 22 gennaio porta a stime completamente diverse da quelle indicate dalla Confederazione di corso Italia. E’ il Centro Studi di Confindustria a rifare i conti, con una premessa: «I calcoli della Cgil, sono parziali e sono riferiti al passato, mentre il nuovo modello si applica per il futuro. E inoltre le loro stime non tengono conto dell’incentivo fiscale e contributivo, che rende più pesanti gli incrementi concessi a livello aziendale».

E così se nei cinque anni presi a riferimento dalla Cgil (2004-2008), le retribuzioni annuali lorde sarebbero aumentate nel triennio di 1.031 euro grazie alla maggiore produttività che si sarebbe potuta scambiare in azienda e al fatto che ci sarebbe stata un’inflazione più bassa (+8,9% con i nuovi calcoli, contro l’11,4% osservato effettivamente), per quelli futuri (anni 2009-2011) l’aumento sarà ben più consistente: 2.523 euro, di cui 1.218 reali, cioè di maggiore potere d’acquisto (94 euro lordi al mese). A ciò si dovrà poi aggiungere una minore tassazione e una minore contribuzione che faranno salire di ulteriori 362 euro le buste paga nette. L’inflazione depurata dell’energia, che è quella che conta per adeguare le retribuzioni nel nuovo modello, sarà nel prossimo triennio del 5,1% cumulato, leggermente maggiore di quella totale (4,7%): «E la depurazione va a tutto vantaggio dei lavoratori».

Il nuovo modello contrattuale – fa notare il CSC – riduce la spinta sui costi che viene dal contratto nazionale e libera risorse per aumenti legati alla produttività, facendo così crescere il potere d’acquisto delle buste paga, perché i soldi ricevuti dai lavoratori sono al netto dell’inflazione. Quindi, di fatto, difende le retribuzioni reali meglio del modello precedente, dove si contrattava anche l’inflazione futura, spingendola a salire.

«La posizione sostenuta dalla Cgil alla lunga, infine, può risultare non compatibile con il mantenimento dell’Italia nell’euro, perché trasferisce in maggior costo del lavoro anche l’inflazione energetica importata e fa sì che questa si perpetui nel tempo».