Licenziamento: ritardo nella contestazione di infrazione disciplinare
Compete al datore dimostrare le ragioni impeditive della tempestiva cognizione del fatto addebitato al dipendente
Con Sentenza del 27 ottobre 2008 la sezione Lavoro del il Tribunale di Bari, ha chiarito che in caso di licenziamento per giusta causa per motivi disciplinari nel caso che venga contestata la tardività della contestazione di infrazione disciplinare, è obbligo in capo al datore di lavoro quello di dimostrare le ragioni impeditive della tempestiva cognizione del fatto addebitato al dipendente.
Fatto e diritto
Il dipendente era un addetto alla USL per l’esecuzione di compiti di sportello ed era stato assunto dalla società con inquadramento come operatore specializzato ufficio, presso una predeterminata sede di lavoro, ubicata nell’edificio della stazione centrale di una città del Mezzogiorno.
Nell’ambito di tale USL il dipendente espletava attività di accettazione delle richieste di visita degli utenti della struttura, anche attraverso il sistema informatico, sia dei dipendenti dell’azienda, sia dei dipendenti di altre aziende di trasporto pubblico, sia di privati; che espletava attività di apertura ufficio in assenza del personale preposto, avendo le chiavi dell’ufficio e che veniva utilizzato anche per attività di archivio.
A seguito di una «verifica amministrativa» era emerso che, in tredici giornate durante l’orario di lavoro, egli si era allontanato dall’ufficio e vi aveva poi fatto rientro dopo un lasso di tempo variabile a seconda delle varie giornate e, nonostante le giustificazioni fornite, la società datrice aveva adottato il provvedimento disciplinare del licenziamento.
Il dipendente aveva adito il Giudice del lavoro per sentir accogliere la richiesta di tutela cautelare invocata ai sensi dell’art. 700 cpc e, in particolare, per sentir «sospendere l’efficacia del licenziamento comunicatogli e ordinare alla resistente l’immediata reintegra del ricorrente nel suo posto di lavoro.
Con ordinanza il Tribunale di Bari rigettava il ricorso cautelare.
Il ricorrente impugnava detto provvedimento riproponendo nell’atto di reclamo i motivi di impugnativa del licenziamento, già oggetto di ricorso cautelare e disattesi dal giudice di prime cure: la intempestività della contestazione, la illegittimità della investigazione posta in essere nei suoi confronti, l’assenza di proporzione tra gli addebiti contestati e la sanzione adottata, l’irrilevanza disciplinare dei comportamenti addebitati, alla luce delle concrete modalità del rapporto e della esistenza di una prassi aziendale di tolleranza delle pause nel corso dell’attività lavorativa, e, da ultimo, la violazione del principio della parità di trattamento.
La USL allora si è costituita in giudizio insistendo per la conferma dell’ordinanza impugnata.
La decisione del Tribunale
Per il Tribunale il reclamo è stato giudicato infondato e quindi rigettato in quanto:
a) in merito alla intempestività del licenziamento, nell'ipotesi di licenziamento per giusta causa intimato per motivi disciplinari, spetta al datore di lavoro, ove venga eccepita la tardività della contestazione, dimostrare le ragioni impeditive della tempestiva cognizione del fatto addebitato al dipendente;:
b) l'immediatezza della contestazione nel procedimento disciplinare costituisce elemento costitutivo del recesso per giusta causa, che deve essere verificato d'ufficio dal giudice, e una volta eccepita dal lavoratore licenziato la tardività della contestazione, fa carico al datore di lavoro l'onere di dimostrare le ragioni impeditive della tempestiva cognizione del fatto poi addebitato al dipendente:
c) in presenza di una eccezione del lavoratore, accolta dal giudice di merito, circa la non immediatezza della contestazione, fondata sul fatto oggettivo della distanza temporale fra la data della sentenza penale e quella in cui è stato contestato l'addebito basato sugli stessi fatti per i quali vi è stata condanna (ancorché a norma dell'art. 444 c.p.p.) il datore di lavoro ricorrente per Cassazione, il quale lamenti la mancata considerazione da parte del giudice di merito del momento in cui egli ha avuto possibilità di aver notizia della sentenza penale, ha l'onere di allegare e dimostrare che la questione era stata specificamente sottoposta al giudice di merito sin dal primo i grado di giudizio, onde far valere, con l'appropriato mezzo di ricorso, l'omesso esame di un punto decisivo della causa).
Inoltre per giurisprudenza consolidata, in materia di licenziamento disciplinare, la tempestività della reazione del datore di lavoro all'inadempimento del lavoratore rileva quindi sotto due distinti profili:
a) quando si tratti di licenziamento per giusta causa, il tempo decorso tra l'intimazione del licenziamento disciplinare e l'accertamento del fatto contestato al lavoratore può indicare l'assenza di un requisito della fattispecie prevista dall'art. 2119 c.c. (incompatibilità del fatto contestato con la prosecuzione del rapporto di lavoro), in quanto il ritardo nella contestazione può indicare la mancanza di interesse all'esercizio del diritto potestativo di licenziare;
b) la tempestività della contestazione permette al lavoratore un più preciso ricordo dei fatti e gli consente di predisporre una più efficace difesa in relazione agli addebiti contestati; con la conseguenza che la mancanza di una tempestiva contestazione può tradursi in una violazione delle garanzie procedimentali fissate dall'art. 7 della legge n. 300 del 1970.
Tribunale di Bari, sezione Lavoro, provvedimento del 27 ottobre 2008
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