28 marzo 2024
Aggiornato 08:30
Pacchetto UE Clima-Energia

Volti al passato

La posizione del governo italiano rischia di trascinare l'Europa verso l'abisso

La posizione del governo italiano rischia di trascinare l'Europa verso l'abisso. Berlusconi ha lo sguardo volto al passato, vede e pensa alla vecchia economia: ma su quella strada non c'è scampo perché la crisi ha una dimensione non affrontabile con i parametri tradizionali. Per salvarsi bisogna innovare, rilanciare, scommettere sul futuro. Jeremy Rifkin

A poco più di 24 ore dal Consiglio dei ministri dell'Ambiente Ue in Lussemburgo, in programma lunedì, il premier Silvio Berlusconi difende la posizione italiana sul pacchetto clima e la richiesta di posticipare di un anno le decisioni sulle misure da prendere in merito a cambiamenti climatici ed energia. Il pretesto che usa è quello della condivisione in seno all’Unione: «La richiesta di avere più tempo per approfondire il tema dei costi per la riduzione dell'anidride carbonica è stata condivisa da altri nove Stati - sostiene Berlusconi -. Non c'è quindi nessun isolamento dell'Italia in Europa, ma solo la continuazione di un costume deteriore dell'opposizione e cioè quello di fare polemiche anche contro il proprio Paese».

Peccato che come fa notare il segretario del PD Walter Veltroni, da diversi giorni «La posizione del governo italiano sul 'pacchetto-clima' in discussione a Bruxelles e' irresponsabile nel merito e rischia di isolare il nostro paese dal nucleo storico dell'Unione europea. Come hanno detto in questi giorni i principali leader europei anche di centrodestra, da Barroso a Sarkozy a Merkel, come ha ribadito con parole esplicite e dure il commissario europeo all'ambiente Stavros Dimas, la drammatica crisi finanziaria di queste settimane non ferma i mutamenti climatici - mentre il presidente del Senato Renato Schifani non trova di meglio che difendere Berlusconi dicendo che la crisi economica deve venire prima dell’emergenza ambientale ndr - e dunque non può e non deve fermare l'impegno per arginarli: un impegno che e' un imperativo etico nei confronti delle generazioni future ed e' anche un decisivo terreno d'innovazione tecnologica e di sviluppo, come dimostrano gli esempi di chi puntando sulle energie pulite, sull'efficienza, sulla ricerca ne ha ricavato grandi benefici in termini di occupazione e di competitività». Certo, «è giusto e necessario - conclude Veltroni - in un momento così difficile e critico per l'economia mondiale, fare ogni sforzo a difesa delle nostre imprese. E' invece una scelta miope e perdente utilizzare questo come pretesto per smantellare gli obiettivi di riduzione delle emissioni dannose per il clima, di sviluppo delle energie rinnovabili, di miglioramento dell'efficienza energetica. L'Italia su questo gioca il suo futuro, ambientale ed economico, il governo torni sui suoi passi».

Eppure il premier non trova di meglio che prendersela con la stampa: «Leggo su alcuni quotidiani che l'Italia si troverebbe isolata in Europa per quanto riguarda la vicenda del clima. Non è assolutamente vero. L'Italia ha richiesto che i costi della riduzione delle emissioni di anidride carbonica vengano sostenuti in modo eguale da ciascun cittadino europeo. Altrimenti, i costi stessi sarebbero più pesanti per i Paesi manifatturieri».
Se è vero che l'Italia non è isolata, a farle compagnia non sono certo le grandi potenze economiche avanzate dell'Unione, i soci fondatori dell'Europa unita come Francia, Germania e Gran Bretagna (alle quali si è unita la Spagna), tutte più o meno determinate ad andare avanti, ma i piccoli stati arretrati dell'Est come Polonia e Ungheria, espressione di un sistema industriale non certo all'avanguardia. E nella rassegna stampa di palazzo Chigi probabilmente mancava l’intervista che la Repubblica ha fatto sul tema a Jeremy Rifkin. Il sociologo americano alla domanda in cui si ricorda come l’Italia sostenga che il costo della battaglia per la stabilizzazione del clima è troppo alto, e affonderebbe l'economia risponde in maniera netta: «E' vero esattamente il contrario: solo il green business è in grado di far ripartire l'economia perché non siamo di fronte a una difficoltà congiunturale ma al passaggio tra due ere. Un momento molto simile al 1929, anche se stavolta è peggio: allora c'era una crisi economica, oggi si sommano tre diverse crisi. La crisi del sistema creditizio, la crisi energetica e la crisi provocata dal riscaldamento globale. Però un'analogia con il 1929 c'è ed è fondamentale perché dà il segno del tempo che viviamo. Il '29 corrisponde al passaggio tra la prima e la seconda rivoluzione industriale, tra il vapore e l'elettricità. E' stata una rivoluzione profonda che ha causato grandi sommovimenti sociali e la seconda guerra mondiale». E quando gli ricordano la necessità di difendere i posti di lavoro, di non esporre i bilanci industriali a investimenti onerosi risponde con una domanda: «Ma le conoscono le proiezioni? In Europa le fonti rinnovabili creeranno un milione di nuovi posti di lavoro. Senza calcolare la crescita negli altri pilastri della terza rivoluzione industriale: l'edilizia avanzata, l'idrogeno, le reti intelligenti».
E fa notare a propisto del pacchetto 20, 20, 20, che «il più convinto sponsor di questa strategia è il commissario europeo all'industria, qualcosa vorrà dire... Questo obiettivo è la spinta che può far ripartire l'economia globale, rinunciare vuol dire condannare il mondo a una recessione violenta. E in questa partita l'Europa ha già una posizione di leadership. Non sono stati gli Usa, non è stata la Cina, non è stata l'India, non è stato il Giappone a imporre sullo scenario mondiale il legame tra la battaglia per la difesa del clima e l'innovazione tecnologica».

E nel pomeriggio Francesco Rutelli ospite a In mezz’ora rilancia il confronto con el altre grandi nazioni europee. E si chiede: «Spagna, Francia o Inghilterra sono pazzi ad accettare le misure che l'Italia vorrebbe rifiutare? No, si rendono conto che ci sono anche delle opportunità. Allora, vogliamo un'Italia più moderna o che sia come alcuni paesi dell'Est superinquinanti e ai margini della crescita economica?».