25 aprile 2024
Aggiornato 04:00
Terza giornata del forum “Economia3. Europa, Business, Cultura” a Prato

«La precarietà che diventa regola non aiuta l’innovazione»

Alla Monash University tavola rotonda sul lavoro che cambia

Viviamo in un mondo di precari ? Numeri alla mano Bruno Anastasia (Veneto Lavoro) spiega nel pomeriggio alla Monash University di Prato, nel terzo giorno di «Economia3», che non è proprio così. Anzi, tutt’altro. Sono tanti i precari in Italia, perché oscillano tra i 2 e 4 milioni: a seconda se consideriamo ‘precario’ solo i tempi determinati o anche i Co.co.co., i finti autonomi e gli atipici.

Ma se dai numeri assoluti passiamo alla percentuali, i lavoratori temporanei oscillano in fondo tra il 13 e il 15% degli occupati: grosso modo la stessa media dell’Unione Europea, quattro volte più che in Irlanda ma meno che la metà della Spagna (34%). Non sono la maggioranza. E non sono tantissimi, «in un mercato del lavoro italiano – ricorda sempre Anastasia – che dagli anni Novanta ad oggi è cresciuto molto di più di quello che si potesse immaginare: 3 milioni di posti di lavoro guadagnati pari a 7 punti percentuali, tasso di occupazione al 59% e disoccupazione in calo dall’8,8 al 6,02 per cento». Non sono però tutte rose e fiori. Perché i precari (come i disoccupati) sono per lo più giovani, ricorda la sociologa e preside della facoltà di Scienze Politiche Franca Alacevich. I precari lo sono spesso non per scelta, con contratti a volte di pochi mesi e lo rimangono a lungo (più che pubblico che nel privato). Guadagnano spesso anche di meno. E molti sono laureati. La preside cita qualche dato. Su 40.000 studenti usciti dall’Università (la ricerca è di Alma Laurea), il 23% lavora nel pubblico e il 77 nel privato. Ma se nel privato, dopo 5 anni, i ‘precari’ sono solo il 18% (sia pur con l’incognita di un 30% di autonomi che magari potrebbero essere solo finti autonomi), nel pubblico i precari sono ben il 55 per cento: 10.600 nel primo caso, 5.500 su 9.000 nel secondo. In un paese che tra i 34 paesi dell’Ocse ha il minor numero assoluto di laureati tra 25 e 34 anni, il più alto tasso di abbandono, troppi pochi laureati in discipline scientifiche e troppi in scienze sociali, economia e giurisprudenza.

Ne viene fuori una fotografia desolante, con gravi conseguenze per la vita degli individui e per la società ma anche per la competitività delle aziende. «Perché – ricorda la preside – un lavoratore temporaneo è meno motivato e meno inserito, soprattutto se ha un contratto che scade dopo sei mesi e non dopo tre anni, e perché le imprese dovrebbero investire nella formazione e sul lavoro qualificato quando invece non lo fanno. A partire da Prato».

«E’ vero che il caso svedese ci insegna che in una società sempre più terziarizzata, cresce il lavoro temporaneo» ricorda la ricercatrice dell’Irpet, Alessandra Pescarolo, che mette a confronto i dati del mercato del lavoro toscano con quello di altre regioni d’Europa e d’Italia. «Il problema – aggiunge - è che in Toscana il lavoro è spesso involontario». La domanda e l’offerta di scuola e lavoro non si incontrano. I salari reali, spiega il collega dell’Irpet Nicola Sciclone, si sono oltretutto nel frattempo erosi o comunque sono cresciuti meno delle aspettative. E solo grazie alla funzione regolatrice della famiglia non ci siamo impoveriti eccessivamente.

C’è di che preoccuparsi. La flessibilità, convengono un po’ tutti, non è il male assoluto. Lo è però la cristallizzazione della temporaneità e precarietà, soprattutto se il disagio che proviene da quella situazione non viene ripagato in qualche modo. E le cifre ricordate al termine della tavola rotonda da Marco Matteucci, dirigente del settore lavoro della Regione Toscana, non aggiungono certo ottimismo. Nel 2007, ricorda, su 10 persone avviate al lavoro in Toscana quasi 8 erano precari o lavoratori a termine. E dopo 6 anni solo il 42 per cento dei lavoratori a termine risulta stabilizzato. Chi rimane precario, insomma, rischia di restarlo a vita. La Regione risponde con un fondo per l’assunzione nelle imprese private dei laureati con meno di 35 anni, con un fondo per l’occupazione femminile e per i lavoratori in mobilità, incentivando l’imprenditoria giovanile ad alto innovazione tecnologica e fornendo garanzie agli atipici che chiedono un prestito in banca.