29 marzo 2024
Aggiornato 12:00
Noi come i campioni

«The Fila Story»

In un libro fotografico la storia del brand Fila attraverso i volti dei suoi grandi testimonial sportivi.

BIELLA - Lo sport è competizione, determinazione, forza di volontà, voglia di vincere. È anche identificazione, emulazione: il desiderio di imitare, eguagliare o superare gli altri, specie se questi altri sono dei grandi campioni. Per vivere il sogno d'essere come loro, anche se non lo saremo mai, a volte basta poco. Se eri un bambino negli anni Settanta, ti poteva bastare una maglia granata con il numero 9 di Pulici. O se il calcio non faceva per te, una racchetta di legno poteva andare altrettanto bene. Un tubo di palline gialle e un muro per allenarti, aspettando un compagno di giochi, o immaginando di servire per il punto decisivo a Wimbledon.

L'Inghilterra era di moda? «London Calling». Forse era per via della musica, o forse torna subito alla mente l'Inghilterra perché Wimbledon era uno dei pochi tornei importanti trasmesso in Tv. È tutto relativo, se si ripercorre il passato facendo uso solo sulla propria mente senza altri ausili. Di sicuro ricordi Björn Borg con la sua maglietta a righe e la fascia nei capelli. E altrettanto bene le ore seduto sui gradini sotto al sole, spese a ripassare con i pennarelli la «F» rossa e blu disegnata sulle corde della tua racchetta, che a forza di colpi perdeva sempre un po' di colore. Mentre i tuoi polsi fasciati di spugna, e le mani, il colore lo prendevano, rossi di fatica.

Poi ricordi Panatta, soprattutto perché era italiano, ma di più John McEnroe perché sfasciava le racchette come le chitarre i cantanti rock. E in maniera molto più nitida ricordi quel ragazzo tedesco che alzò sopra la testa l'insalatiera di Wimbledon a soli 18 anni, Boris Becker. Lo stesso biondo bruttino che stracciò anche Ivan Lendl e Stefan Edberg e ti fece ricredere, per Dio, su quanto era bravo.

Erano gli anni '80, e anche tu finalmente avevi una maglia con il logo «F» rosso e blu proprio come lui. Una polo bianca con i profili colorati alle maniche, di cui andavi fiero.

Lo stesso logo lo avevi visto sulla tuta da sci di Ingemar Stenmark quando vinse la coppa del mondo – 1978 - e lo hai rivisto su quelle di Alberto Tomba alle Olimpiadi di Calgary, di Deborah Compagnoni e di Kristian Ghedina, negli anni in cui lo sci teneva gli italiani incollati al televisore e tu, sciatore impacciato in ritardo con i tempi, ti facevi dare consigli da qualche ragazza carina e più sveglia di te.

Allora poco ti importava che quei vestiti con marchio «F» fossero prodotti a una manciata di chilometri da casa tua, e quando te lo dicevano facevi un'alzata di spalle e ti limitavi a pensare che avevi la fortuna di spendere meno di altri per averli. L'importante era ciò che rappresentavano, il sogno di sentirti nei panni dei tuoi idoli. L'intuizione che ha reso Fila grande nel mondo e che tuttora ne fa uno dei brand più riconoscibili e noti è stata proprio quella di avvicinare la gente comune in ogni parte del globo ai propri campioni preferiti. Ora rivederli in sequenza sulle pagine di un libro mette in bocca quel sapore buono che hanno solo i bei ricordi, dolce come una madeleine.

E ad anni passati, e a cose molto diverse, la storia di un'azienda che ha cambiato il modo di concepire lo sport nel 2014 ti appare attraente e magnetica quasi quanto gli sportivi che l'hanno resa, e continuano a renderla, celebre.

The Fila story è il volume prodotto dalla Fondazione Fila Musuem
presentato venerdì sera nella sede biellese della Fondazione. Il libro tratteggia attraverso un percorso squisitamente fotografico la storia di Fila, partendo dalle radici della famiglia d'imprenditori biellesi per arrivare alla gloriosa svolta degli anni '70, momento in cui l'azienda vira dall'intimo all'abbigliamento sportivo, destinato a diventare il suo punto di forza. A fare da traino l'intuizione di Enrico Frachey, ricordato come l'uomo manager di Fila, che capi come per arrivare al successo fosse fondamentale unire alla capacità di superare i prodotti concorrenti, anche quella di creare un'emozione capace di conquistare i compratori. Grazie a «F-Box», marchio semplice, d'impatto e ad alta riconoscibilità, l'azienda italiana «battezza» con il proprio marchio i grandi campioni dello sport, comprendendo tra i primi la potenza del testimonial. Tra le pagine di «The Fila Story» si ritrovano così i volti dei grandi del tennis - «primo amore» del «Fila Box» - dello sci, della vela ed anche della Formula 1, si ripercorre la storia del marchio Fila attraverso le tre fasi individuate da Marco Negri – vice presidente dalla Fondazione Fila Museum e leader project del prodotto editoriale. Prima l'ingresso, nel 1973, nel settore dell'abbigliamento sportivo e l'utilizzo dei primi testimonial tra i grandi campioni dello sport, nella fattispecie il tennis e lo sci; poi la produzione di scarpe sportive ad alto tasso di innovazione, seconde in quel momento solo a Nike e Reebok, e l'ingresso in nuovi settori dello sport come il calcio, la vela e la Formula 1; ed infine dal 2007 il passaggio del marchio sotto la guida di Gene Yoon, attuale presidente di Fila. In tutto questo il Fila Museum di base a Biella ha il compito di custodire l'eredità culturale e di stile contenuta nella famosa «F-box».

A The Fila story, accanto a Marco Negri hanno lavorato per più di un anno Annalisa Zanni – coordinatrice del progetto – Carla Fiorio per i testi, Sonia Cambursano per le traduzioni in inglese, Chiara Venezia per grafica ed impostazione, Debora Ferrero per l'editing e Giovanni Rosazza, che ha realizzato la copertina.