2 maggio 2024
Aggiornato 05:00
Commercio e storia

Dogane, commercio e «Jeansinari» le mille sfumature degli anni d'oro degli scambi da oltre confine

C'era chi da un mondo di restrizioni passava il confine per avere una boccata d'occidente, chi si è arricchito alle sue spalle e chi invece dei trasporti e del commercio transfrontaliero ha fatto un mestiere solido e duraturo. Ecco tutte le facce di un pezzo di storia dell'Fvg

TRIESTE – Ponterosso e Borgo Teresiano due luoghi che nell'immaginario dei triestini hanno lasciato il segno, un segno fatto di scambi e di commerci (leciti e illeciti) che hanno fatto la fortuna di molti italiani grazie ai clienti provenienti da oltre confine. Arrivavano a migliaia gli «s'ciavi», così veniva chiamato chi proveniva dall'est comunista e con treni, autobus o i più fortunati a bordo delle loro Zastava raggiungevano la città nel weekend per comprare veramente di tutto. «Piazza Ponterosso: da nessuna parte capitalismo e socialismo collaborano così tanto» scrivevano i giornali jugoslavi all'epoca parlando del boom dello shopping slavo a Trieste. E i numeri sono impressionanti: ogni weekend la città registrava fino a 100mila presenze da oltre confine, 200 miliardi di lire annui era l'incasso degli anni d'oro per le bancarelle in Piazza Ponterosso e Piazza Libertà senza contare il contrabbando che valeva almeno altrettanto. Avidi di prodotti dell'occidente ed oppressi dal comunismo del non possesso gli «s'ciavi» compravano soprattutto caffè, riso, bambole e abbigliamento.

Jeans e fortuna
Il simbolo per eccellenza di questo fenomeno erano però i jeans che significavano ribellione, anticonformismo, vita e con loro le t-shirt Fiorucci, le felpe Best Company ma anche le calze di nylon e le radio. Gli stranieri spesso indossavano tanti abiti uno sopra l’altro per raggirare le dogane: mentre noi andavamo «de là» per la benzina, loro trasformavano Trieste nell’emporio dei Balcani. E i «jeansinari», come venivano chiamati i rivenditori più o meno leciti del genere, gonfiavano le tasche con i contanti che venivano portati in banca letteralmente a sacchi. C'è invece chi preferiva spendere e spendere tanto: interi incassi finivano al casinò, in auto di lusso o in ville con i rubinetti d’oro. Chi non sperperava quando finalmente negli anni '90 la cuccagna finisce cade in piedi ed oggi sta bene. Chi non è stato lungimirante e nei momenti d'oro festeggiava brindando a champagne il suo primo miliardo di lire, oggi vive con la minima. Momenti di sfarzi e di benessere che hanno dato alla testa ad alcuni ma che per chi ha saputo mediare hanno lasciato in eredità punti vendita che ancora oggi conosciamo nomi come Laghi (quello dei negozi «Manuel»), Nistri, Mugnaioni e De Ros ma anche Peschechera, Cucchiani e Giannella. O Del Sabato, titolare di «Giovanni» in via Ghega. Tutti testimoni di un pezzo di storia della città.

Dogane, trasporti e lavoro
Ma il fenomeno degli scambi transfrontaleri non si esaurisce con gli acquisti di abiti e oggetti del buon vivere occidentale. Gli scambi di merci con l'Europa «di ieri» seguivano una linea immaginaria che arrivava fino al confine austriaco qui, dalla metà degli anni '70 fino a tutti gli anni '80 era l'import delle materie prime di ogni genere a farla da padrone ma anche di prodotti alimentari, animali e molto altro. «Un'attività talmente ampia da riuscire a sostenere più di 200 famiglie del territorio. L'attività di trasporto ha raggiunto dimensioni talmente elevate da far diventare Tarvisio il secondo transito alpino dopo il Brennero» ci spiega Franco Faleschini titolare dell'omonima azienda di spedizioni. Il trasporto avveniva per lo più per via ferroviaria, da Pontebba e solo successivamente il trasporto su strada iniziò a farsi largo. «L'Italia, notoriamente avida di materie prime, ricercava in maniera massiccia l'acciaio di Austria e Repubblica Ceca, paesi che ancora si trovavano dall'altra parte della cortina di ferro – ci spiega sempre Faleschini - e poi ancora carta e legno dalla Svezia. Non mancavano importazioni più strategiche legate all'agricoltura: i fosfati russi e all'alimentazione: il grano ungherese». Negli anni d'oro il Tarvisiano contava 14 case spedizioniere, 3 banche interne e 3 esterne, la Società di Gestione Autoporto contava vedeva gravitare in dogana più di 600 persone al giorno tra dipendenti, autisti, doganieri, finanzieri ed altri lavoratori. «Nei vent'anni d'oro – ci spiega Mario Rosso ex dirigente di dogana – vedevamo transitare circa 350 mezzi al giorno per un totale di 105 mila autotreni l'anno; un numero immenso se pensiamo alla situazione di oggi». Tra le merci più curiose a passare il confine c'erano le galline olandesi e le bottiglie vuote dalla Repubblica Ceca. La Polonia era grande fornitrice di carne e uova mentre l'export, molto più ridotto riguardava soprattuto i prodotti finiti come abiti, detersivi e carta igienica.