Demenza cerebrale frontotemporale: ora si possono leggere le forme genetiche della malattia
Grazie a una nuova tecnica di risonanza magnetica, gli scienziati dell’Università di Milano sono stati in grado di «leggere» le forme genetiche della demenza cerebrale

MILANO – Dopo l’Alzheimer, la seconda causa di decadimento cognitivo prima dei 65 anni è la demenza frontotemporale. Oggi, uno studio dell’Unità Malattie Neurodegenerative, Centro Dino Ferrari, Università di Milano, IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico, fondato sulle immagini di risonanza magnetica, ne migliora sensibilmente le possibilità di diagnosi e dimostra che l’utilizzo di scale visive morfometriche in risonanza magnetica consente di identificare le diverse mutazioni genetiche che causano la demenza frontotemporale.
La demenza frontotemporale
Come già accennato, dopo la malattia di Alzheimer, la demenza frontotemporale si ritiene essere la seconda causa di decadimento cognitivo prima dei 65 anni, è caratterizzata da disturbi psico-comportamentali, quali disinibizione, alterazioni della condotta sociale, aggressività, e in circa il 20% dei casi dipende da una mutazione genetica.
Lo studio
Appena pubblicato sulla rivista Alzheimer Research and Therapy, lo studio è stato svolto nell’ambito di un progetto multicentrico internazionale, chiamato GENFI (GENetic Frontotemporal dementia Iniziative) che coinvolge l’unità del prof. Scarpini, con la prof.ssa Daniela Galimberti, oltre a diversi centri in Europa e Canada e che si prefigge di studiare soggetti con mutazione in uno dei tre geni principali (progranulina, MAPT e C9ORF72), i quali tuttavia non abbiano ancora sviluppato i sintomi della malattia. Le risonanze magnetiche condotte su 343 soggetti nell’ambito del progetto sono state analizzate utilizzando un protocollo di 6 scale di valutazione visiva che identificano l'atrofia in regioni chiave del cervello (orbitofrontale, cingoli anteriori, frontiere, lobi temporali anteriori e mediali e aree posteriori corticali) – riporta una nota dell’Università di Milano. Utilizzando le risonanze magnetiche di questi soggetti e assegnando un punteggio a specifiche aree, il gruppo coordinato da Giorgio Fumagalli, ricercatore al Centro Dino Ferrari, è riuscito a dimostrare un profilo tipico di atrofia cerebrale per ogni mutazione: asimmetrico per progranulina, simmetrico principalmente ai lobi temporali per MAPT e diffuso per C9orf72.
Le identificazioni
I ricercatori hanno inoltre identificato, sempre grazie alle immagini di risonanza, un ampliamento dei solchi cerebrali nelle zone dei lobi temporali mesiali in soggetti con mutazione di MAPT, prima che questi avessero sviluppato i sintomi della demenza. Il dato radiologico rappresenta perciò l’unico marcatore preclinico di questi casi genetici di demenza frontotemporale. «Le scale di valutazione utilizzate – ha commentato Giorgio Fumagalli – semplici da usare e riproducibili, possono quindi essere strumenti utili nel contesto clinico per la discriminazione di diverse mutazioni della demenza frontotemporale, e nel caso di mutazioni del gene MAPT possono anche aiutare a identificare atrofie prima dell’insorgenza».
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