Prevenire le infezioni ospedaliere: il metodo che funziona è italiano
Il nuovo metodo contro le infezioni ospedaliere e i batteri resistenti è stato presentato al ministero della Salute. Plauso dall'Istituto Superiore di Sanità

ROMA – Le infezioni ospedaliere sono una piaga nazionale e internazionale. Spesso, infatti, un paziente ricoverato per una qualche patologia viene colto da una infezione che con quella malattia non c’entra nulla. Ed è proprio un’infezione contratta nell’ospedale, e che può anche essere di tipi ‘resistente’, mettendo a rischio la vita stessa del paziente. Ma, proprio dall’Italia, arriva un nuovo metodo per sanificare gli ambienti ospedalieri, combattere i batteri, consentendo maggiore sicurezza e un consistente risparmio al sistema salute.
Il sistema
Questa l’essenza del Sistema di pulizia e sanificazione PCHS, presentato ieri mattina al Ministero della Salute. Secondo un rapporto dell’OMS, le ICA (Infezioni Correlate all’Assistenza) provocano un prolungamento della durata di degenza, disabilità a lungo termine, aumento della resistenza dei microrganismi agli antibiotici, un carico economico aggiuntivo per i sistemi sanitari e per i pazienti e le loro famiglie e una significativa mortalità in eccesso. In Europa, le ICA provocano ogni anno 16 milioni di giornate aggiuntive di degenza, 37mila decessi attribuibili e 110mila decessi per i quali l’infezione rappresenta una concausa. I soli costi diretti di questa vera e propria emergenza negli Ospedali ammontano a circa 7 miliardi di euro.
Motivo d’orgoglio
«Uno studio tutto italiano che porta risultati di questo tipo è motivo di orgoglio – ha dichiarato Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, nel corso della presentazione di questa metodologia innovativa incentrata sulla competizione biologica – Sono risultati importantissimi, che riguardano due priorità della nostra agenda: ridurre le infezioni, prima causa di rischio all’interno degli ospedali; farlo attraverso un sistema che consente un risparmio al Sistema, e dunque fornendo un contributo al nostro dovere di rendere sostenibile la spesa per mantenere la straordinarietà del nostro Servizio Sanitario Nazionale. Il fatto che tutto questo sia arrivato grazie a uno studio che ha messo in rete università e ospedali italiani è un modello che dobbiamo essere in grado di incentivare. A un’ora di aereo da qui – prosegue Ricciardi – ci sono Paesi che mettono a disposizione della ricerca tutto quanto necessario per produrre valore, ricchezza, lavoro. L’Italia ha tutti gli strumenti per essere protagonista del futuro».
Resi noti i risultati
Nel corso dell’incontro sono stati resi noti i risultati ottenuti dallo studio che ha coinvolto le università di Università di Ferrara, Udine, Pavia, Messina e la Bocconi di Milano e 7 ospedali Italiani (Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli - Roma, Ospedale di Santa Maria del Prato-Feltre BL, Ospedale Sant’Antonio Abate -Tolmezzo UD, Istituto di Cura Città di Pavia e Istituto Clinico Beato Matteo di Vigevano PV, Azienda ospedaliera Universitaria Ospedali Riuniti-Foggia, Policlinico Universitario G. Martino-Messina). Gli interventi dei professori Sante Mazzacane e Silvio Brusaferro, della dottoressa Elisabetta Caselli e dell’ingegnere Carla Rognoni hanno chiarito il piano della ricerca, pubblicato sul Journal of Clinical Trials nel 2016 e i risultati ottenuti: la riduzione del 52% delle infezioni correlate all’assistenza, riduzione tra il 70 e il 96% della riduzione dei patogeni rispetto ai metodi tradizionali di igienizzazione e una riduzione tra il 70 e il 99.9% dei germi di resistenza gli antibiotici. E una riduzione del 15-20% dei costi diretti di produzione rispetto ai metodi tradizionali.
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