28 agosto 2025
Aggiornato 00:30
I passi della ricerca italiana

Diabete, fotografata la malattia sul nascere

Uno studio italiano è riuscito a “fotografare” per la prima volta il diabete sul nascere, svelando le sue origini e permettendo di predisporre cure più mirate e personalizzate

ROMA – Sono stati i ricercatori della Società Italiana di Diabetologia a «fotografare» per la prima volta il diabete sul nascere. I risultati di questa ricerca sono stati presentati nell’ambito della sessione «In vivo veritas» al 51° congresso dell’EASD in corso a Stoccolma.

Diabete e cure più mirate
La scoperta dei ricercatori italiani è importante perché fornisce fondamentali indicazioni per offrire una terapia anti-diabete davvero su misura, preparata sulla base del difetto predominante alla base del diabete. Un passo davvero decisivo poiché il diabete mellito di tipo 2 è una condizione molto diffusa tra la popolazione generale. Si stima che soltanto in Italia vi siano oltre 4 milioni di pazienti. Tutte persone a rischio salute e vita, poiché se non diagnosticato per tempo e trattato adeguatamente, il diabete aumenta il rischio di molte malattie quali infarto, ictus, tumori e altre complicanze vascolari.

La fotografia
Lo studio VNDS (Verona Newly Diagnosed type 2 Diabetes Study) è nato con l’intento di caratterizzare in dettaglio le componenti che contribuiscono a determinare il diabete di tipo 2 nel momento stesso in cui viene diagnosticato – da qui la possibilità di «fotografarlo» in questa fase. I risultati sono il frutto di un lavoro decennale condotto presso la Divisione di Endocrinologia, Diabetologia e Metabolismo dell’Università di Verona.

Lo studio
Sono 700 i pazienti (482 maschi e 218 femmine) arruolati finora nello studio. Quando è stato loro diagnosticato il diabete sono stati sottoposti a un test del carico orale di glucosio, per valutare il grado di secrezione insulinica e a un test di «clamp insulinico» per misurare il grado di risposta degli organi e tessuti periferici all’insulina. Nel corso dei due esperimenti, sono state dosate le concentrazioni di C-peptide C, glicemia e insulina. I dati poi sono stati analizzati con un particolare modello matematico e interpretati utilizzando le banche dati degli studi GENFIEV (GENetica Fisiopatologia ed Evoluzione del diabete di tipo 2) e GISIR (Group of Italian Scientists of Insulin Resistance), relative a soggetti non diabetici, presi come riferimento per definire rispettivamente le soglie di difetto di secrezione insulinica e di resistenza all’insulina.

I risultati
L’analisi dei dati ha permesso di evidenziare che già al momento della diagnosi di diabete il 90% dei soggetti presentava una compromissione della secrezione insulinica e che nell’88% era evidenziabile una ridotta sensibilità all’insulina. I pazienti che presentavano solo insulino-resistenza erano l’8,8% del totale, mentre quelli che presentavano solo un difetto di secrezione insulinica, tutti molto magri, erano il 10,8%. La maggior parte dei soggetti studiati (78,9%) al momento della diagnosi di diabete presentava entrambi i difetti, mentre un esiguo numero (1,4%) non mostrava alcuna alterazione. Un paziente su 5 di quelli che presentano entrambi i «difetti» alla base del diabete mostrava anche pesanti alterazioni dei lipidi e un peggior compenso glicemico.

Una finestra aperta sulla malattia
«Il momento in cui viene fatta diagnosi di diabete – afferma il primo autore dello studio, il dottor Marco Dauriz, Dipartimento di Medicina, Divisione di Endocrinologia, Diabetologia e Metabolismo dell’Università di Verona, membro della Società Italiana di Diabetologia – rappresenta una finestra temporale privilegiata per poter apprezzare la frequenza e l’entità dei difetti di secrezione e azione insulinica, prima che venga avviata una terapia farmacologica. Caratterizzare le componenti patogenetiche al momento della diagnosi è importante per individuare una strategia terapeutica il più possibile personalizzata. Le banche dati del VNDS e degli studio GENFIEV e GISIR – prosegue Dauriz – costituiscono un prezioso strumento per la comunità scientifica per poter indagare i meccanismi causali del diabete di tipo 2 e possibilmente individuare nuove strategie terapeutiche sin dalle forme di pre-diabete».
«L’eterogeneità dei disturbi alla base del diabete tipo 2 è estrema – conclude il presidente SID professor Enzo Bonora – Studi come questo documentano che fra i diabetici tipo 2 possono essere individuati soggetti molto diversi fra loro nelle alterazioni che portano alla manifestazione biochimica comune, cioè concentrazione alta di glucosio nel sangue. Per questo abbiamo bisogno e avremo sempre bisogno di molti farmaci con meccanismo d’azione diverso per curare i diabetici tipo 2: in questo momento abbiamo 7 classi diverse di farmaci oltre all’insulina ma abbiamo bisogno di altre molecole. Molte sono in fase di studio».