Albano: «Il governo tuteli il Made in Italy che non può più esportare in Russia»
L’onorevole Lucia Albano, di Fratelli d’Italia, denuncia al DiariodelWeb.it i costi delle sanzioni imposte alla Russia per l’export del comparto del lusso italiano
La guerra in Ucraina sta costando cara all’economia italiana. E non solo per colpa dei prezzi lievitati delle materie prime importate dalla Russia. A farne le spese è anche il comparto del lusso, che aveva in Mosca uno dei suoi sbocchi privilegiati e che ora, a causa delle sanzioni, ha visto improvvisamente chiudersi in faccia le porte di quel ricco mercato. Un problema che ha denunciato con chiarezza in aula l’onorevole Lucia Albano, deputata di Fratelli d’Italia e membro della commissione Finanze della Camera. Ecco che cosa ha dichiarato ai microfoni del DiariodelWeb.it.
Onorevole Lucia Albano, quanto stanno pesando le sanzioni alla Russia sul mondo produttivo italiano?
Vorrei ribaltare il punto d'osservazione. Finora abbiamo considerato quelli sanzionati soprattutto come mercati d'approvvigionamento. In realtà sono anche mercati di sbocco.
Si parla delle materie prime, ad esempio energetiche o agroalimentari, che importiamo ma non delle merci che esportiamo.
Esattamente. Mi riferisco ai settori del cosiddetto food, fashion & furniture, ovvero cibo, moda e design. Particolarmente in alcune zone della nostra nazione, questo tipo di produzione di qualità è in difficoltà perché ha rapporti importantissimi e storici con i mercati russo e ucraino, nonché con quelli confinanti.
Il famoso Made in Italy che tanto si sbandiera.
Infatti. Pensiamo alle calzature, all'abbigliamento, all'arredamento, all'olio, al vino, al lusso. Tra l'altro questi comparti sono costituiti da piccole e medie imprese.
Di cosa hanno bisogno per far fronte a questa problematica?
Da una parte vanno aiutate nella ricollocazione su altri mercati, come quelli nordamericani o asiatici, perché è chiaro che la crisi non sarà immediatamente risolvibile. Questo processo non è automatico né semplice e, soprattutto, è molto costoso, per questo le nostre Pmi fanno fatica a sobbarcarselo. Dall'altra, servono sostegni come quelli adottati per esempio nel caso della Brexit, che rappresentò un'altra interruzione di un flusso di import-export. Infine abbiamo chiesto che vengano salvaguardati almeno i contratti in essere con la Russia.
Insomma, è un tema sul quale l'Italia e l'Europa devono lavorare.
Non è una colpa avere uno sbocco nella Russia. Queste imprese ci hanno lavorato per molti anni. È chiaro, lo si studia su qualunque libro di economia, che concentrare tutti i propri affari su un solo mercato comporta un rischio Paese. Ma è anche vero che, con la globalizzazione, questo rischio si è ridotto. Per poi ripresentarsi con forza in questo momento, unendosi alla batosta del Covid e alla crisi economica che era già preesistente. La dichiarazione di Versailles prevede di far leva sui punti di forza del mercato unico senza lasciare indietro nessuno. Quindi le nostre imprese vanno sostenute.
Purtroppo finora non sembra esserci stata una particolare volontà politica in tal senso.
Le piccole e medie imprese sono il nostro tessuto portante, la spina dorsale che sorregge la nostra economia. Eppure si continua a pensare di più ai mercati finanziari che ai mercati rionali. E mi riferisco sia al governo italiano che alle istituzioni europee. Noi non siamo contrari all'Europa, ma vogliamo che guardi agli interessi delle singole nazioni. La stessa questione si pone, ad esempio, sulla direttiva Bolkestein: i piccoli imprenditori che lavorano sui nostri litorali che vanno considerate diversamente dalle grandi multinazionali che, con i loro capitali, vogliono acquisire aziende da omologare a quelle del resto del mondo. In Italia abbiamo un modello vincente, che rappresenta la nostra forza e la nostra identità. L'Europa non lo considera adeguatamente, ma mi sembra che nemmeno il nostro governo lo tuteli.
Del resto Draghi viene proprio da quel mondo della finanza, dunque non stupisce.
Bravo. Come potremmo pensare qualcosa di diverso? Ma noi continuiamo a lavorarci, perché è nel nostro Dna. Per questo chiedo al presidente Draghi di rappresentare l'Italia in Europa e non solo l'Europa in Italia.