16 aprile 2024
Aggiornato 16:00
Vaticano

Papa Francesco completa l'organigramma e imprime il proprio marchio sulla riforma finanziaria

Con Giuseppe Pignatone, alla guida del Tribunale Vaticano, e Carmelo Barbagallo, presidente dell'authority finanziaria, si chiude un'era di «scontro» con l'Italia

Papa Francesco
Papa Francesco Foto: ANSA

Con la nomina di Carmelo Barbagallo alla presidenza dell'authority finanziaria vaticana che segue di poche settimane quella di Giuseppe Pignatone alla guida del Tribunale vaticano, lo scorso tre ottobre, Papa Francesco imprime il proprio marchio su una riforma economica che ha avuto sin qui troppe paternità.

Jorge Mario Bergoglio ha scelto non solo due personalità di alto livello, ma ha posto le condizioni per superare l'epoca, non così remota, di scontro aperto tra lo Stato Pontificio, da una parte, e l'Italia, dall'altra parte, e in particolare la Banca d'Italia, dalla quale proviene Barbagallo, e la Procura di Roma, guidata sino a poco tempo da da Pignatone.

Erano gli anni di Benedetto XVI e del cardinale Tarcisio Bertone. Il Vaticano era segnato - e nella sua lunga storia non era una novità - da diversi scandali finanziari. Le discussioni che precedettero il Conclave del 2013 che elesse Jorge Mario Bergoglio espresse chiaramente l'esigenza, condivisa da conservatori e progressisti, di una riforma profonda. Rilanciare la fede, ma anche ripulire il Vaticano.

Il nuovo Pontefice per sei mesi non toccò la delicata materia. Poi la giustizia italiana arrestò per riciclaggio un monsignore dell'Apsa (Amministrazione del patrimonio della sede apostolica), Nunzio Scarano. A quel punto il Papa accelerò una prima volta. Mandò via il direttore generale dello Ior e il suo vice (Paolo Cipriani e Massimo Tulli vennero indagati da lì a poco dalla procura di Roma), decapitò i vertici dell'Apsa (via tanto il responsabile della sezione ordinaria per gli immobili, Massimo Boarotto, quanto quello della sezione straordinaria per gli investimenti finanziari, Paolo Mennini, figlio di quell'Antonio Mennini braccio destro di monsignor Marcinkus); commissariò e poi sostituì la commissione cardinalizia di vigilanza dello Ior guidata sino ad allora da Bertone; adottò un motu proprio e quattro nuove leggi che impressero, tra l'altro, un giro di vite sulla 'prevenzione e il contrasto delle attività in campo finanziario e monetario'; ridisegnò il Consiglio per l'economia, consesso di quindici cardinali creato da Giovanni Paolo II per coinvolgere presuli di tutto il mondo nell'approvazione dei bilanci della Santa Sede, e sostituì i membri con otto cardinali e sette laici; circoscrisse il ruolo dello Ior; lasciò al Governatorato il ruolo di 'municipio' dello Stato pontificio; stabilì che l'Apsa divenisse, ufficialmente, la 'banca centrale' del Vaticano; avviò una riforma dei mass media vaticani (Osservatore romano, Radio vaticana, Centro televisivo vaticano, sala stampa). Infine, istituì un nuovo ufficio del Revisore generale e creò un nuovo super-dicastero delle Finanze, la Segreteria per l'Economia. Affidò la sua guida al cardinale australiano Geroge Pell, conservatore, grande elettore del Conclave, che concepì il suo ruolo come una sorta di 'vice-Papa' per le finanze.

Nel corso degli anni, Pell ha tentato di razionalizzare l'apparato amministrativo vaticano, urtando, con stile spiccio, non poche sensibilità. La sua politica era apertamente anti-italiana, ed è innegabile che, sebbene non tutti i cardinali italiani fossero coinvolti negli scandali, non vi era scandalo nel quale non spuntasse qualche cardinale italiana. Ha voluto accedere, senza grande successo, ai bilanci di Propaganda fide (la congregazione per l'Evangelizzazione dei popoli), Apsa e Segreteria di Stato. Ha tentato di centralizzare gli investimenti immobiliari, con uno stile business-oriented poco in sintonia con il Papa. All'interno del Vaticano c'è chi lo ha osteggiato con metodi più o meno corretti (la vienda Vatileaks ne è testimonianza). Alla fine, dopo essersi consultato col Papa, è tornato in Australia per difendersi da antiche accuse di pedofilia, ed è finito in carcere.

Vicenda che è andata ad aggiungersi ad altri malfunzionamenti: oltre alla fuga di documenti riservati della commissione istruttoria per la riforma economia, appunto il caso Vatileaks, il Revisore generale Libero Milone è entrato in rotta di collisione con la Segreteria di Stato ed è stato accompagnato alla porta. La cacofonia nelle finanze vaticane è rimasta.

Ed è riemerso uno scandalo, la 'opaca' vicenda (copyright del cardinale Segretario di Stao Pietro Parolin) dell'acquisto, per investimento dei fondi dell'Obolo di San Pietro, di un esoso immobile al centro di Londra, in partnership con un imprenditore italiano. Operazione decisa all'epoca in cui Sostituto della Segreteria di Stato era il cardinale Angelo Becciu, accelerata ora che gli è succeduto monsignor Edgar Pena Parra; il quale, per perfezionare l'acquisto e liberarsi del partner, avrebbe sollecitato un sostanzioso esborso allo Ior, innescando sospetti sfociati in un'istruttoria del nuovo Revisore, in una indagine della magistratura vaticana e nelle perquisizioni, compiute dalla gendarmeria vaticana, negli uffici della Segreteria di Stato e dell'Aif. Vicenda burrascosa, sfociata, 'pur non avendo alcuna responsabilità soggettiva nella vicenda', nelle dimissioni del comandante della Gendarmeria, Domenico Giani, nella sospensione di cinque dipendenti vaticani, e, la scorsa settimana, nella conclusione, dopo un quinquennio, del mandato del presidente dell'Aif René Bruehlart, entrato in Vaticano da direttore dell'authority finanziaria all'epoca di Benedetto XVI.

Come ha spiegato egli stesso nella conferenza stampa sul volo di ritorno dal Giappone, il Papa ha tratto da quest'ultima vicenda alcune considerazioni: primo, non si tratterebbe solo di un investimento malaccorto ma ci sono 'indizi di corruzione'; secondo, ' è la prima volta che in Vaticano la pentola viene scoperchiata da dentro, non da fuori'. E' stato lo Ior, infatti, a segnalare i propri sospetti alla magistratura vaticana, che ha indagato su altri uffici dello stesso Stato pontificio, e non, come avvenuto molte volte in anni passati, l'autorità di un altro Stato, ad esempio l'Italia, che indagava, tramite rogatoria, su opache vicende avvenute all'interno delle Mura Leonine. La riforma, dunque, avviata da Benedetto XVI ed accelerata da Francesco, inizia a dare i suoi frutti, ma deve essere perfezionata.

Tanto più che sullo sfondo si staglia un problema ben più sostanziale del singolo investimento, ossia il deficit che ormai da decenni minaccia il Vaticano. Lo Stato Pontificio ha costi notevoli, per la corposa burocrazia e per la manutenzione, ma non ha tasse. Notoriamente, le Chiese che più contribuiscono sono quelle statunitense, tedesca e italiana, da anni a loro volta in sofferenza, non da ultimo per le cause di indennizzo con le vittime dei preti pedofili. Quanto agli investimenti, anche quelli vaticani hanno risentito della crisi economica iniziata nel 2007/2008, come ne hanno risentito non pochi benefattori. Anche in Vaticano, infine, la popolazione invecchia, aumentando il costo del sistema previdenziale. Un quadro, insomma, tutt'altro che roseo, raccontato nell'ultimo libro di Gianluigi Nuzzi ma in realtà, prima di allora, fotografato da una recente riunione del Consiglio per l'Economia. Jorge Mario Bergoglio è consapevole dei problemi. Il suo pontificato ha un'agenda molto ampia, ma non dimentica i problemi di gestione dello Stato pontificio.

E da alcuni mesi ha ripreso in mano la riforma economica. Questa volta senza delegare, come avvenuto negli anni scorsi con Pell, e senza mantenere al loro posto personalità, anche degnissime, che aveva però ereditato dalla precedente amministrazione. Per questo ha via via sostituito, nominato, cooptato nuove persone, tutte di fiducia: oltre al cardinale Parolin alla Segreteria di Stato e il cardinale Giuseppe Bertello al Governatorato, e il cardinale Reinhard Marx al Consiglio per l'Economia, con i quali i rapporti sono solidi sin dall'inizio, sono arrivati via via Gian Carlo Mammì quale direttore generale dello Ior, Alessandro Cassinis Righini nuovo revisore generale, monsignor Nunzio Galantino all'Apsa. Propaganda fide potrebbevedere un avvicendamento nei prossimi mesi. Da ultimo, nelle ultime settimane, Francesco ha nominato un gesuita spagnolo, padre Juan Antonio Guerrero, nella fondamentale casella della Segreteria per l'Economia, e infine Giuseppe Pignatone al Tribunale e Carmelo Barbagallo all'Aif. Le sfide sono serie, ma la squadra è ormai completa. E in linea con un Papa che vuole 'una Chiesa povera e per i poveri'.

(con fonte Askanews)