28 marzo 2024
Aggiornato 22:00
Informazione

«Per questo hanno fatto cadere Berlusconi»: la confessione di Enrico Mentana

Il direttore de La7 intervistato dal quotidiano di Marco Travaglio spiega il suo modo di lavorare. E racconta il suo 'rapporto' con il potere

Silvio Berlusconi ed Enrico Mentana negli studi di La7
Silvio Berlusconi ed Enrico Mentana negli studi di La7 Foto: ANSA/ ANGELO CARCONI ANSA

ROMA - «Anche per questo hanno disarcionato Berlusconi». Al Fatto Quotidiano, in una lunga serie di brevi 'domanda e risposta' Enrico Mentana, direttore de La7, si confessa ai taccuini di Alessandro Ferrucci. E lo fa secondo quello che è il suo stile: rapido, snello, netto. E snelle sono soprattutto le risposte alle domande su Silvio Berlusconi, con tanto 'non detto' e tantissimo 'fatto intendere'. Perché per Mentana il potere in Italia è sempre stato «un equilibrio tra imprenditoria, istituzioni e partiti, dove quest'ultimi decidevano, tanto è vero che a un certo punto il mondo dell'economia e della finanza ha creato un suo partito intorno a Enrico Cuccia», fondatore di Mediobanca. Si è sempre trattato, però, di una «forza residuale, anche quando è arrivato Berlusconi». Ed è qui che la discussione si fa calda. Perché Berlusconi, ben prima di entrare in politica, «aveva ben chiaro un punto: doveva semplificare. E quando ha vinto le elezioni, lo choc per la classe dirigente di allora è stato di perdere i posti di controllo. Anche per questo l'hanno disarcionato». 

Il potere non è di chi lo esercita pubblicamente
Ancora non detto. Ancora tanto da intendere. Mentana spiega chiaramente come «chiunque arriva al governo non sa come muovrersi, non sa come mettere in pratica le promesse elettorali». Non conta chi sono i ministri. Non conta il nome e il profilo del premier. Perché a comandare sono 'i mandarini' di Stato: «In un grattacielo di 30 piani la figura più importante non è chi abita nell’attico, ma il tecnico dell’ascensore». Un paragone che spiega come come funziona il potere. Perché, e qui il discorso analizza il dna del 'politico' «non contano né i soldi né il potere, ma l’affermazione, il realizzarsi». E in Italia c'è un concetto di potere - e un potere - decisamente sui generis, «sempre stato strano per via della partitocrazia, quindi un equilibrio tra imprenditoria, istituzioni e partiti, dove quest’ultimi decidevano». Ed è per questo che «a un certo punto il mondo dell’economia e della finanza ha creato un suo partito intorno a Enrico Cuccia».

E alcune curiosità
Nell'intervista a domanda seria segue domanda curiosa. Ed è così, ad esempio, che scopriamo che Mentana legge «al novanta per cento saggi», ama le biografie «ma non quelle romanzate» e considera la lettura «l’antidoto al motore di ricerca, una malattia della quale si ha poca cognizione». La sua vita? Ben poco 2.0: «Non ho la patente, non uso calcolatori, non ho l’agenda, i numeri li so a memoria; detesto tutto ciò che del progresso e della tecnologia si sostituisce alla mente umana. Ciò che priva e diventa una mutilazione». Però sui social è molto attivo perché «il giornalista del 2018 non può restare su una torre d’avorio e fregarsene di quello che accade nei bassifondi; deve misurarsi con la nuova agorà del web, dove – purtroppo o per fortuna – il confronto è molto diretto e dove avviene il contrario del celebre aforisma…» Quale? «Uno non deve mai discutere in pubblico con uno scemo: chi ti segue potrebbe non cogliere la differenza, e poi lui ti batte con l’esperienza».