16 aprile 2024
Aggiornato 19:30
Reportage di un pomeriggio renziano

Dentro la convention del Lingotto. Renzi gioca a fare il capo, le folle lo adorano

Molti anziani e pochi giovani accolgono il segretario del Partito Democratico a Torino. Si parla di tutto e di nulla: l'importante è farsi i selfies, stringere mani e fare battute spiritose

L'ex premier ed ex segretario Pd Matteo Renzi al Lingotto.
L'ex premier ed ex segretario Pd Matteo Renzi al Lingotto. Foto: Alessandro Di Marco ANSA

TORINO - Il Partito di Renzi si è dato appuntamento ieri al Lingotto di Torino per celebrare se stesso: l’ha fatto con uno stile vagamente retrò, che ha fatto leva sulla nostalgia dei tempi passati e la voglia di un futuro non da temere ma da abbracciare. Deridere questo popolo ingenuo sarebbe sbagliato: i più erano persone convintamente devoti alla figura di un capo carismatico che, dopo molti anni, ha portato una comunità asfittica e perdente a essere nuovamente al centro dell’attenzione politica. Anche se questo significa aver tradito ogni aspirazione sociale attraverso l’acritico abbraccio al neoliberismo globalista.

Dentro la fabbrica
Il salone uno del Lingotto di Torino, la seconda fabbrica del gruppo Fiat costruita negli anni Venti e andata in pensione nel 1984, appare piccolo, entrando. La scenografia è un po' lugubre, dato che le pareti sono nere e le luci un po' basse. La musica è un melange tra Tiziano Ferro, Claudio Baglioni, gli U2 e l'ormai satura «Human»: non ci si annoia troppo. Dentro il salone brulicano migliaia di uomini e donne, la maggior parte venuti per assistere al grande spettacolo del capo che parla alla sua folla. Plastica rappresentazione del libro di Emilio Gentile, «Il capo e la folla», Feltrinelli, Matteo Renzi non li deluderà. Lui e solo lui, perché gli altri sono nani che si muovono all’ombra del gigante, senza il quale non sarebbero nulla.

Un dèja vu berlusconiano
Risultano particolarmente goffi, al limite del patetico, i parlamentari che tentano di stargli vicino quando arrivano le telecamere dei telegiornali: scene veramente sconfortanti. Le prime sei file, dove siedono i maggiorenti del partito, appaiono inutili, una corte dei miracoli senza un pensiero nella testa che non sia il ripetere a pappagallo quello che il capo–segretario dice ai microfoni. Potrebbe essere una platea, quella delle prime sei fila, berlusconiana: per come vestono, parlano e perfino camminano. Un tratto antropologico unico accomuna questi uomini, e donne, al popolo che negli anni d’oro riempiva i palazzetti dello sport per le «convention» di Forza Italia. 

L'ingenuo popolo della sinistra
Dalla sesta fila alla trentesima il mondo è diverso, completamente. Siedono, composti, i vecchi militanti dei tempi che furono: alcuni portati a fare una gita in un bel pomeriggio soleggiato torinese, altri venuti di propria sponte a difendere a spada tratta il segretario del Partito. Perché Renzi è adorato in quanto tale, non per quello che fa o dice. La materia del suo operare, le varie riforme bidone che ha prodotto in questi anni, sono solo lontanamente oggetto di analisi, ed eventualmente, critica. Renzi è indiscutibile in quanto segretario del Partito. Bisogna aver frequentato le sezioni del Partito Comunista per comprendere una lealtà così totale, fondata sulla ferrea disciplina, secondo cui il segretario capo non si contesta mai.

Discorso fatto di nulla
Lui, il capo, parla per un’ora di fila senza dire nulla di concreto. Un vero comizio di altri tempi: è una dote non da poco. Sa però che ci sono delle corde che devono essere toccate se vuole trionfare in mezzo alla sua gente. Così inizia una serie di stoccate amarcord, da «compagni» e «sanità pubblica», catturando l’entusiasmo dei militanti storici. Poi qualche critica all’Europa, così raccatta qualche contestatore, una lunga tirata sul meraviglioso mondo della globalizzazione che ha «portato fuori dalla povertà centinaia di milioni di esseri umani», una leggerissima critica sulla gestione poco collegiale del partito e battute a profusione. I militanti ascoltano attenti e applaudono quando il capo alza il volume delle voce. Sembrano contenti, soddisfatti, anche se non ci sono grosse novità politiche da raccontare. L’unica notizia degna è che Matteo Renzi è sempre Matteo Renzi, immutabile nel suo affabulare privo di contenuto.

Una platea tutt'altro che giovane
La platea, alla faccia delle retorica giovanilista renziana, non è affatto giovane. Lo dimostra l’assoluta compostezza che c’è all’entrata, dove lunghe code procedono implotonate verso le sedie disposte sotto il podio. Dietro al quale ci sono tre schermi verdi di medie dimensioni. Il Partito Democratico, che ancora si dice di sinistra, è un mondo vasto dove va bene tutto: dall’anziano comunista che si aggira sfoggiando tutte le tessere del partito che ha collezionato dal 1948, fino ai rampantissimi giovani in cerca di un un’occupazione nella politica.

Politica due punto zero
Il tempo scorre veloce e si giunge all'ora di cena: quindi un po' tutti tornano a casa, felici e sorridenti del bel pomeriggio passato in compagnia. La tre giorni del Lingotto è l'autocelebrazione renziana, il culto del caro lìder che vuole dimostrare agli avversari politici quanto è amato: e vuole dimostrarlo anche a se stesso. La politica, il congresso, il programma, le cose insomma non c'entrano più nulla. Roba vecchia, superata: conta solo lo show, le mani strette come fanno i giocatori di calcio quando vengono sostituiti, i selfies fatti a profusione e poco altro. E' la politica due punto zero: dove lo zero è dato dai contenuti, e il due dalla propaganda.