Salvini fa dietrofront su Bertolaso per salvare la sua idea di centrodestra
Colpo di scena: la partita si riapre sul nome di Guido Bertolaso. Le perplessità di Matteo Salvini hanno fatto saltare il vertice a Palazzo Grazioli e causato l'ira di Giorgia Meloni. Ma il dietrofront di Salvini nasconde precise considerazioni politiche che riguardano non solo Roma, ma tutto il centrodestra
ROMA - Matteo Salvini fa dietrofront, o almeno così pare. Il nome di Guido Bertolaso, che già dall'inizio non gli andava a genio per i due processi a capo dell'ex sottosegretario ed ex numero 1 della Protezione Civile, oggi gli suscita, se possibile, qualche perplessità in più. A far traboccare il vaso, dopo le dichiarazioni sul suo essere democristiano e sull'aver votato Francesco Rutelli nel 2008, dev'essere stata quella frase sui rom, in cui Bertolaso li definiva ingiustamente vessati. Dietro e più in profondità, probabilmente, una considerazione politica: perché se la Lega aspira ad essere il partito-guida del centrodestra italiano, a certi compromessi non può e non dovrebbe spingersi.
La partita romana è ancora aperta
A proposito di Bertolaso, il leader della Lega ha dovuto ammettere, come riporta La Repubblica, che la «sua partenza non è stata il massimo per la Lega»; quanto alla strategia politica, Salvini ha sottolineato che «A pacchetto chiuso non compro nulla. Quello che dirà la gente di Roma» in questi giorni «inciderà sulla mia decisione finale». E se si parla di «decisione finale» - che fino a due giorni fa pareva essere già stata presa - significa che il ripensamento è in corso e che la partita è ancora aperta. Lo conferma lui stesso, sottolineando che «Tutte le partite sono sempre aperte». Al di là delle frasi fatte, però, le perplessità non mancano: «Su Roma, una città bella e complicata, Bertolaso può essere la persona più capace ed efficiente del mondo e lo ha dimostrato andando in campagna elettorale con i processi in corso, con una certa magistratura non mi sembra la cosa più brillante e facile».
La Meloni furiosa
La brusca frenata di Matteo Salvini non solo ha fatto saltare il vertice a tre a Palazzo Grazioli, ma ha anche aizzato l'ira dell'alleata di tante battaglie: Giorgia Meloni. Che si è detta «arrabbiatissima» e «allibita» di fronte alle parole con cui Matteo Salvini ha messo in discussione la candidatura di Bertolaso, colpendo l'unità del centrodestra. Per questo, ha disertato di buon grado il pranzo in programma con Berlusconi e Salvini, che alla fine è stato rinviato dallo stesso Cavaliere. Ma a complicare ulteriormente le cose è stata l'(ri)apertura del Matteo milanese ad Alfio Marchini, bocciato dalla Meloni e poi «sorpassato» da Bertolaso. Lo confermerebbero le parole riportate dai media «la partita su Marchini non è chiusa». Di partite aperte, come si vede, ce ne sono anche troppe.
In gioco il futuro del centrodestra
La situazione è decisamente complessa. Perché in gioco non c'è solo la Capitale, agli occhi della quale il centrodestra rischia di aver già perso ogni credibilità. In gioco c'è anche il più vasto progetto nazionale di ricostruzione del centrodestra. Non c'è dubbio che il ripensamento della sua identità passi, in piccolo, anche per i candidati scelti a rappresentarlo sul territorio e, in grande, per le alleanze e gli equilibri costruiti al suo interno. La candidatura di Bertolaso - lo abbiamo già sottolineato - parla di un centrodestra trainato ancora da Berlusconi, e che di «nuovo» ha poco o nulla. Un centrodestra così tradirebbe il progetto di Matteo Salvini, che rimane pur sempre il leader del primo partito dell'area. Contemporaneamente, però, il segretario della Lega sa bene che da soli non si spicca il volo: soprattutto da Roma in giù, dove la Lega manca ancora di una forte base elettorale. Le variabili in gioco, dunque, sono tante. E le prossime mosse saranno particolarmente significative, perché, oltre che del destino della Capitale, ci parleranno del futuro di un'alleanza - e di un centrodestra - che sembra già scricchiolare alle primissime prove.
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