29 marzo 2024
Aggiornato 14:00
Lo scandalo Vatileaks

Vatileaks, un anno e sei mesi a Gabriele. Resta l'incognita dei nomi veri

Il maggiordomo del Papa - «Paoletto» lo chiamavano in Vaticano, il «corvo» è divenuto nel gergo giornalistico - è stato arrestato il 23 maggio scorso per il furto di documenti riservati della Santa Sede e, oggi, condannato a 18 mesi di detenzione. Pena che, però, probabilmente non sconterà, perché - cristiano perdono e Realpolitik vaticana - arriverà prima la grazia sovranamente concessa dal Papa

CITTÀ DEL VATICANO - «In nome di Sua Santità Benedetto XVI gloriosamente regnante, il tribunale, invocata la Santissima Trinità ha pronunciato la seguente sentenza...». Sono passate da poco le 12.15 quando i giudici vaticani, terminata una camera di consiglio di due ore, tornano nell'aula del tribunale che si trova alle spalle della basilica di San Pietro per concludere il processo-lampo a carico di Paolo Gabriele. Una vicenda che intreccia sacro e profano fin nel linguaggio del dispositivo di condanna. Il maggiordomo del Papa - «Paoletto» lo chiamavano in Vaticano, il «corvo» è divenuto nel gergo giornalistico - è stato arrestato il 23 maggio scorso per il furto di documenti riservati della Santa Sede e, oggi, condannato a 18 mesi di detenzione. Pena che, però, probabilmente non sconterà, perché - cristiano perdono e Realpolitik vaticana - arriverà prima la grazia sovranamente concessa dal Papa.

«Visti gli articoli 402, 403 numero 1, 404 primo comma numero 1 - ha scandito il presidente del tribunale, Giuseppe Dalla Torre, elencando le norme del codice Zanardelli vigente ancora dentro le mura Leonine relative a furto, furto aggravato e furto qualificato - dichiara l'imputato Paolo Gabriele colpevole del delitto previsto dall'art 404 primo comma numero 1 del codice penale, per avere egli operato, con abuso della fiducia derivante dalla relazioni di ufficio connesse alla sua prestazione d'opera, la sottrazione di cose che in ragione di tali relazioni erano lasciate od esposte alla fede dello stesso. Lo condanna pertanto alla pena di anni tre di reclusione».

Pausa. Paolo Gabriele è impassibile. Pm e avvocato in silenzio. Pochi cronisti del pool ascoltano attenti, accanto qualche funzionario vaticano. Dalla Torre riprende e cita l'articolo 26 di una legge promulgata nel 1969 per clemente volontà di Paolo VI. «In considerazione dell'assenza di precedenti penali, delle risultanze dello stato di servizio in epoca antecedente ai fatti contestati, del convincimento soggettivo, sia pur erroneo, del movente della sua condotta, nonché della dichiarazione circa la sopravvenuta consapevolezza di aver tradito la fiducia del Santo Padre - conclude Dalla Torre - i diminuisce la pena a un anno e sei mesi di reclusione. Condanna il medesimo al rifacimento delle spese processuali».

A fine udienza Paolo Gabriele fila via accennando un sorriso educato. Torna agli arresti domiciliari nella casa che si trova a poche centinaia di metri, sempre dentro lo Stato pontificio, in cui abita con moglie e tre figli. L'avvocata Cristiana Arru tira un sospiro di sollievo. «Buona sentenza, equilibrata», commenta. E' stata catapultata nel pieno di un caso seguito dai mass media di tutto il mondo dopo che il legale titolare, il focolarino Carlo Fusco, ha dato improvvisamente forfait quest'estate. In aula, a darle man forte, c'era anche il padre. Una sentenza «mite», sottolinea il portavoce vaticano, Federico Lombardi. I giornalisti non fanno quasi in tempo a domandare se Gabriele sconterà la pena in un carcere italiano o gli verrà concessa la condizionale, che il gesuita fa capire come andrà a finire: la «eventualità della grazia» concessa dal Papa al suo ex maggiordomo è «molto concreta e verosimile». L'incubo Vatileaks, per la Santa Sede, sembra superato. Almeno per ora.

Iniziato sabato scorso, il processo al maggiordomo del Papa si è concluso una settimana esatta dopo. Il giorno dopo la ricorrenza di santa Faustina Kowalska, la santa polacca canonizzata da Giovanni Paolo II e di cui Paolo Gabriele è molto devoto. E il giorno prima dell'avvio del sinodo, che si apre domani con messa solenne del Papa. Un evento che il prolungarsi del processo avrebbe completamente oscurato, quanto meno sui mass media. Il caso Vatileaks non è concluso.

Ci sono altre indagini da fare, per capire meglio il ruolo avuto da altre persone in Vaticano, c'è lo stralcio del processo al tecnico informatico della segreteria di Stato Claudio Sciarpelletti, ma comunque se ne riparla dopo ottobre, a sinodo concluso. Ora in vaticano si tornerà a parlare di nuova evangelizzazione - è il tema dell'assemblea - di Concilio vaticano II, di cui l'11 ottobre cade il 50esimo anniversario, e di anno della fede, che prende le mosse proprio quel giorno. Di fughe di notizie per un po' non si dovrebbe parlare. Sebbene ieri il trasferimento di mons. Charles Scicluna dall'ufficio anti-pedofilia della Santa Sede a Malta sia filtrata in anticipo su un sito di informazione specializzato in Vaticano.

Il processo al maggiordomo si è concluso in sole quattro udienze. Il pm, il 'procuratore di giustizia' Nicola Picardi, ha escluso, alla fine, l'ipotesi che Paolo Gabriele abbia agito con dei complici. Lui, il maggiordomo del Papa, ha sempre parlato di diverse altre persone che lo avrebbero «suggestionato», senza addossare loro una collaborazione nella fuga di documenti finiti sui giornali italiani e, alla fine, nel bestseller di Gianluigi Nuzzi 'Sua Santità'. Dalla indagine istuttoria «manca la prova di correità e complicità», ha detto il pm. «Nessuno in Vaticano sapeva dell'esistenza del suo archivio, che meriterebbe di essere regalato ad una biblioteca per la vastità e la particolarità degli interessi», ha concluso il rappresentante legale del Vaticano.

L'avvocata Cristiana Arru, da parte sua, ha contestato l'accusa di furto formulata nei confronti del suo assistito, parlando invece di «appropriazione indebita» e sottolineando che il maggiordomo ha fotocopiato - mai sottratto, sostiene - documenti disponibili nella segreteria del Pontefice dinanzi ad altre persone nell'ufficio che occupava assieme ai due segretari personali del Papa. Non si è trattato di furto, per Arru, anche perché il furto «implica profitto, e qui non vi è stato nessun vantaggio per Paolo Gabriele, ma per un alra persona», ha aggiunto in implicito riferimento all'autore di 'Sua Santità' Gianluigi Nuzzi. «Il fatto importante - ha poi detto - è che le sue motivazioni morali, seppure condannabili, erano alte e non erano tese a danneggiare la Chiesa ma a giovarle. Riteneva che il Papa non fosse sufficientemente informato ed è stato spinto da una fede profonda, suggestionato non da altre persone ma dal male che vedeva». La pubblicazione questa estate delle perizie psichiatriche, alla fine dell'istruttoria, hanno poi danneggiato Paolo Gabriele, perché lo hanno messo alla «gogna» e - grazie alla permanenza delle notizie su internet - «esposto perpetuamente al pubblico ludibrio».

Nell'arringa che ha preceduto la sentenza l'avvocata ha chiesto il rilascio di Paolo Gabriele mentre il pm ha chiesto quattro anni con lo sconto di un anno per attenuanti - meno comunque della pena massima di sei anni prevista dal codice di procedura penale.

Il pm ha peraltro rivelato anche, per la prima volta, i nomi del prete cui il maggiordomo consegnò copia delle carte vaticane riservate: si tratta di don Giovanni Luzi, ed era stato presentato a Paolo Gabriele da un altro sacerdote, don Paolo Moracutti. L'udienza mattutina si è conclusa con l'appello finale del protagonista della vicenda, Paolo Gabriele. «Si dichiara colpevole o innocente?», gli ha domandato il presidente del tribunale Dalla Torre. «La cosa che sento forte dentro di me è la convinzione di aver agito per amore esclusivo, direi viscerale, per la Chiesa di Cristo e per il suo capo visibile (il Papa, ndr.). E' questo che mi sento. Se mi devo ripetere, non mi sento un ladro». Poi la sentenza «mite», e, presto, la grazia papale.