19 aprile 2024
Aggiornato 11:00
Nei funerali dei sei soldati uccisi autorità e cittadini si sono uniti nel dolore e nella riconoscenza

Ai funerali l’Italia ha riscoperto solidarietà e fratellanza

Nelle parole dell’officiante, Monsignor Pelvi, la bandiera che avvolge le bare indicata come un valore in cui l’Italia deve riconoscersi

ROMA - Alle dieci in punto di questa mattina il corteo con le salme dei sondati italiani uccisi a Kabul ha lasciato la camera ardente allestita all’interno dell’ospedale militare del Celio per dirigersi verso San palo fuori le mura,nel quartiere Ostiense.
Fin dalle prime ora una folla di cittadini commossa ha raggiunto la basilica romana per partecipare ai funerali ai quali hanno assistito, oltre al presidente della Repubblica e del Consiglio, le più alte cariche dello Stato, autorità ed esponenti politici, rappresentanti della società civile.

La città di Roma ha risposto con entusiasmo all’invito rivolto dal sindaco, Gianni Alemanno di salutare l’ultimo percorso dei sei parà con l’esposizione della bandiera italiana. Molti cittadini che anche prima dell’arrivo delle bare e che si desse inizio alla cerimonia ufficiale a San Paolo stringevano fra mani il tricolore. Inoltre di bianco di rosso e di verde si è dipinto tutto il precorso, dal Celio fino alla basilica dove i sei Parà hanno avuto l’ultimo saluto.

IL DOLORE E LA RAGIONE - Il dolore non deve fare velo alla ragione, è l’opinione più ricorrente di politici e commentatori in queste ultime ore. E la ragione, dicono sia sul versante della maggioranza e da quella dell’opposizione(con i distinguo da una parte di Bossi, e dall’altra di Di Pietro e della sinistra radicale) è che non si debba abbandonare Kabul.
La ragione di questa presenza, lo ha spiegato un personaggio che certamente non può essere tacciato di simpatie guerrafondaie come Eugenio Scalfari, che ieri, nell’editoriale della domenica pubblicato da «La Repubblica», ha ricordato che in Afghanistan i nostri militari stanno affrontando uno scontro asimmetrico, che sarebbe ora di combattere scrollandosi di dosso tutte le ipocrisie lessicali sulla definizione «di pace» o di «guerra » intorno alla sua natura: » A nessuno, ha detto Scalfari per spiegare il suo pensiero,verrebbe in mente di mandare delle truppe per mantenere la pace in Svizzera».

ILMONITO DEI MILITARI - Nell’ora del dolore è arrivato anche il monito dei vertici militari, i quali hanno spiegato che ogni volta che dal nostro paese si sollevano voci di disimpegno si finisce oggettivamente per aumentare i pericoli che corrono i nostri soldati. Di fatto, dicono in sostanza i militari, queste pressioni finiscono per essere un elemento in più per convincere i talebani di essere vicini al raggiungimento dei loro obiettivi e quindi rafforzare la loro convinzione che valga la pena di intensificare gli attacchi alle nostre truppe.
Le difficoltà che incontrano sia le truppe sotto l’egida della Nato che quelle degli Stati Uniti gli Stati Uniti, questo non lo dicono solo i militari, dovrebbe invece convincerci della forza dei talebani e del pericolo che essi costituiscono.

LASCIARE KABUL? - E’ un pericolo che noi italiani possiamo scongiurare semplicemente ritirandoci dall’Afghanistan?
Tutta l’area che va dal Medio Oriente al Pakistan è una polveriera capace di mettere a ferro e fuoco il pianeta, quindi l’Afghanistan è una trincea che va conservata ad ogni costo,è la tesi di chi è favorevole al proseguimento della missione..
SSono praticamente le argomentazioni di chi era a favore della guerra in Vietnam: se cede, il Vietnam, si diceva, il comunismo può dilagare in tutto il medio oriente con il rischio di aumentare le possibilità che scoppi una terza guerra mondiale. Poi è si è visto che, quando l’argine ha ceduto le cose sono andate ben diversamente.

AFGHANISTAN E VIETNAM - Ma un parallelismo fra Vietnam e Afghanistan, oltre al fatto di trovarci anche in questo caso davanti ad uno scontro asimmetrico, è possibile?
Partiamo dal Vietnam. La storia, anzi proprio gli effetti della sconfitta degli Stati Uniti, dimostrarono che i calcoli di chi aveva mandato i giovani americani a morire nelle risaie vietnamite erano sbagliati. Dietro i Vietcong c’era infatti una potenza ostile agli Stati Uniti, la Russia, ben consapevole di ciò che avrebbe potuto provocare un allargamento del conflitto. Ma soprattutto la vittoria di Hanoi dimostrò che il fronte comunista era tutt’altro che unito e che le eventuali ambizioni vietnamite sarebbero state stoppate, ove si fossero espresse, da un’altra potenza rossa, la Cina. Esattamente come aveva già fatto in Cambogia.

PERICOLO DISFATTA - Si può dire che la stessa ragionevolezza accompagni anche le gesta dei talebani e di chi li sostiene, cioè di quelle frange dell’estremismo islamismo ispirato non dalla politica, ma da un fanatismo religioso il cui unico scopo è quello di sollevare uno scontro fra civiltà e visioni del mondo ai loro occhi inconciliabili?
» «Ci vogliono più truppe entro il prossimo anno o la missione fallirà» ha avvertito Stanley Chystal comandante delle truppe Usa e Nato in Afghanistan.
A questo appello entro breve è chiamato a rispondere, in un modo o in un altro, il Presidente degli Stati Uniti, ma anche il nostro governo..