Omaggio ai 6 parà, in 10mila alla camera ardente
Onori militari a Ciampino tra la commozione delle famiglie
ROMA - Simone, due anni, sulla testolina bionda ha il basco amaranto dei parà, è in braccio alla madre che nasconde lacrime composte dietro occhiali neri e con la piccola mano indica una delle sei bare avvolte nel tricolore: là dentro c'è suo padre, il sergente maggiore capo Roberto Valente, 37 anni, parà della folgore ucciso in un attentato giovedì a Kabul con altri 5 ragazzi, il caporalmaggiore Davide Ricchiuto, 26 anni, il caporalmaggiore Matteo Mureddu, 26 anni, il tenente Antonio Fortunato, 35 anni, il caporalmaggiore Massimiliano Randino, 32 anni, il caporalmaggiore Giandomenico Pistonami 26 anni; anche loro tornati a casa dentro il feretro avvolto dalla bandiera italiana. Così sono scesi dalla pancia aperta del C-130 atterrato a Ciampino alle 9.30, portati a spalla dai commilitoni.
L'arrivo a Ciampino - Sulla pista ad accoglierli i familiari, madri, fratelli, figli, mogli, fidanzate, compagne, padri, sorretti da amici e parenti e da personale delle forze armate. Volti segnati da composto dolore e fiera dignità che hanno accolto le bare dei loro cari, insieme alle più alte cariche dello Stato: il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e i presidenti del Senato e della Camera, Renato Schifani e Gianfranco Fini. Presenti anche il ministro della Difesa Ignazio La Russa, il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta, il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo e il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini.
Il picchetto d'onore è schierato al lato dell'aereo C-130. Per i sei parà uccisi a Kabul le insegne d'onore. L'ordinario militare, mons. Vincenzo Pelvi, ha benedetto le sei bare. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si è soffermato dinanzi alle sei bare avvolte nel tricolore, poggiando la mano su ogni feretro. Le note lancinanti del silenzio hanno avvolto i sei feretri, che poi hanno sfilato tra gli applausi dei presenti, familiari dei militari uccisi e autorità politiche e militari. Alle dieci le auto nere con a bordo i feretri dei sei militari hanno lasciato Ciampino.
Le parole del Papa - Il Papa dopo l'Angelus da Castel Gandolfo ha espresso la sua «riprovazione» per gli attentati costati la vita ai sei parà, atti che provocano «sconcerto nelle società che hanno a cuore il bene della pace e della civile convivenza».
La Camera ardente - Dopo l'autopsia, disposta dalla Procura della Repubblica che ha aperto un fascicolo sulla strage, le auto nere con le bare dei sei parà sono arrivate poco dopo le 15 all'ospedale militare del Celio e i feretri sono state disposte nella camera ardente. Qualche minuto dopo sono entrati per un ultimo saluto ai commilitoni i soldati del 186.mo reggimento. Poi i familiari di Davide, Matteo, Antonio, Roberto, Massimiliano e Giandomenico, che sono rimasti con loro fino alla chiusura della camera ardente. Ma anche loro non sono rimasti soli: sono oltre 10mila le persone che hanno visitato la camera ardente allestita all'ospedale militare del Celio per i sei militari uccisi in Afghanistan.
Tanti gli anziani - Una folla di persone punteggiata da bandiere tricolori e ombrelli aperti per la pioggia ha atteso di fronte all'ospedale l'apertura della camera ardente dei sei militari uccisi in Afghanistan. Intorno alle 16 hanno iniziato a entrare per salutare i sei parà. Una lunga fila continua fino a tarda sera, fino alla fine, di cittadini venuti per dare un ultimo saluto, molti portano una bandiera tricolore, altri dei fiori. Tutti nella commossa convinzione che il loro gesto sia il minimo da fare per chi è morto così lontano.
Tanti gli anziani che sono venuti oggi per rendere omaggio ai giovani militari caduti, per loro l'Esercito garantiva un accompagnamento, evitando la lunga sosta in piedi. Nel pomeriggio la Protezione civile ha fornito anche bottiglie d'acqua.
Alemanno: «esporre il Tricolore» - Fra i primi ad arrivare al Celio il sindaco di Roma, Gianni Alemanno: «Ho invitato i cittadini di Roma ad esporre il Tricolore per riaffermare la vicinanza della città ai soldati e perché è importante mantenere un legame profondo tra le Forze armate e il popolo, la gente, prima ancora che tra istituzioni e parti politiche», un omaggio, al sacrificio dei militari perché «chi porta le stellette e indossa la divisa lo fa per difendere noi e per portare la pace».
Domani è giorno di lutto nazionale, bandiere a mezz'asta, serrande abbassate, luci spente. E per domani il Comune ha disposto 2500 bandiere tricolore che accompagneranno le bare dal Celio alla Basilica di San Paolo fuori le mura, dove alle 11 saranno celebrati i funerali solenni presieduti dall'ordinario militare, monsignor Vincenzo Pelvi.
Alle esequie solenni forse ci saranno anche i quattro militari rimasti feriti nell'attacco: il primo maresciallo dell'Aeronautica Felice Calandriello, i primi caporalmaggiori della Folgore Rocco Leo, Sergio Agostinelli e Ferdinando Buono. Sono arrivati all'1.32 all'aeroporto «Leonardo da Vinci» di Fiumicino, con un volo dell'Alitalia da Abu Dhabi-Larnaca. E sono stati trasportati all'ospedale militare del Celio, a Roma. Tutti hanno un disturbo di stress post traumatico ma loro condizioni sono sostanzialmente buone.
Le indagini - Intanto sulla dinamica dell'attentato a Kabul, il generale Vincenzo Camporini, capo di stato maggiore della Difesa, ammette che «c'è stato uno scontro a fuoco» subito dopo l'esplosione dell'autobomba che ha ucciso sei soldati italiani e una decina di civili afgani. Da un'informativa redatta dagli investigatori che indagano sulla strage a Kabul sembra infatti che i quattro militari italiani sopravvissuti all'attentato abbiano risposto al fuoco piombato sulle loro teste subito dopo l'esplosione.
Ma se gli italiani in Afghanistan subiscono ormai un attacco al giorno dai talebani, come ha rivelato il comandante della Folgore e responsabile del Regional Command West Herat, Rosario Castellano, nonostante il tragico attentato di Kabul «la situazione sul terreno per i militari italiani non cambia», ha precisato il capo di Stato Maggiore della Difesa, Vincenzo Camporini. E anzi servono più ruppe per il controllo del territorio e ce ne saranno, ma «questo non vuol dire che il maggior apporto debba essere italiano», ha sottolineato il ministro della Difesa Ignazio la Russa che pure in un intervista ha voluto sottolineare: «Lo dico con chiarezza, i nostri soldati non sono in Afghanistan solo per aiutare a ricostruire il paese.Sono lì per usare la forza giusta e combattere il terrorismo».