Perchè non siamo (ancora) stati sostituiti dai robot
Mentre sale l'investimento fatto in tecnologie e intelligenza artificiale, la produttività del lavoro rimane stagnante

MILANO - Stando ai dati, quelli del World Economic Forum del 2017, molti dei nostri lavori rischiano di essere sostituti dalle macchine entro il 2020. Per la precisione si parla di 5 milioni di posti di lavoro. Software e robot avranno la meglio, in uno scenario quasi apocalittico che vede gli uomini messi alla porta delle aziende quasi del tutto. Scenario che lo stesso World Economic Forum, in collaborazione con Accenture, ha, tuttavia, ridimensionato proprio all’inizio di quest’anno, affermando che solo il 16% delle professioni è a rischio nei 10 prossimi anni.
In modo molto graduale, tuttavia, sempre più aziende - in particolare di grandi dimensioni - assumono robot. Soprattutto che siano in grado di collaborare con le persone (o le persone in grado di collaborare con i robot?, ndr). Allo stato, i robot operativi in tutto il mondo sono 1,8 milioni. Ma, secondo le previsioni dell’International Federation of Robotics, entro il 2019, saranno 2,6 milioni solo nelle fabbriche, con l’Unione europea nel ruolo di leader mondiale di questa espansione. Quello che viene spontaneo chiederci è: saremo davvero sostituiti dai robot? E l’intelligenza artificiale sarà in grado di aumentare davvero la produttività, lasciandoci a svolgere mansioni meno faticose? La risposta è, con tutta probabilità, sì. Non che saremo completamente sostituiti: ma l’interazione tra uomo e macchina sarà fondamentale nei prossimi anni. Non solo aumenterà la produttività, ma darà luogo a nuovi scenari. Chiaramente nei giusti tempi.
I progressi dell'intelligenza artificiale, infatti, si stanno manifestando ovunque, dalle auto alla robotica fino al riconoscimento vocale avanzato. Ovunque, cioè, tranne che per le statistiche sulla produttività. La situazione sembra una ripetizione del paradosso di Solow, espresso nel 1987 dall'economista del MIT e premio Nobel Robert Solow. E un probabile colpevole del paradosso è un ritardo nell'implementazione delle nuove tecnologie, suggerisce la ricerca di Erik Brynjolfsson del MIT, del candidato al dottorato Daniel Rock del MIT e di Chad Syverson del Chicago Booth.
Mentre l'indice composito Nasdaq incentrato sulla tecnologia è raddoppiato tra il 2012 e il 2017, gli investimenti in tecnologie correlate all'intelligenza artificiale sono aumentati di oltre otto volte, raggiungendo oltre 5 miliardi di dollari nel 2016, secondo la società di ricerche di mercato CB Insights. Ma questo non ha incrementato la crescita della produttività del lavoro, che dal 2005 al 2017 è cresciuta a meno della metà del 3% annuo stabilito dal 1995 al 2004.
Tuttavia, i ricercatori ritengono che vi sia motivo di essere ottimisti, sostenendo che le nuove tecnologie richiedono tempo per diffondersi ed essere applicate in tutta l'economia. Essi citano la macchina a vapore, l'elettricità, e il motore a combustione interna, il cui impatto trasformato si svolse nel corso di anni e decessi. L'applicazione generalizzata di tali tecnologie richiedeva anche altre tecnologie complementari, così come oggi serve ancora la mano dell'uomo per far funzionare alla perfezione un robot. A trent'anni dal passaggio alla corrente alternata, i ricercatori sottolineano che almeno la metà dei produttori americani non erano ancora elettrizzati perché non avevano capito come riorganizzare il loro processo produttivo intorno ai piccoli motori elettrici.
Il paradosso dell'intelligenza artificiale è quindi coerente con un mondo in transizione e la spiegazione su cui si basano i ricercatori del MIT è che c'è un ritardo nell'attuazione. In quest'ottica, le scoperte nelle tecnologie dell'intelligenza artificiale lasciano intravedere maggiori effetti sulla produttività man mano che il loro uso si diffonde. Gli investimenti in AI sono costosi e richiedono sviluppi complementari che richiedono tempo e risorse per essere attuati.
Anche se oggi crediamo che sia completamente impossibile essere sostituiti da una macchina e che mai saremo costretti a dividere la nostra scrivania con un software, in realtà - a meno di essere vicini alla pensione (se ancora esiste) - lo dovremo fare molto presto. Ovviamente molto dipenderà dai programmi di formazione che saranno attivati in questi anni. In caso contrario è probabile che non saremo sostituiti dai robot, quanto piuttosto da chi i robot li sa usare.
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