12 ottobre 2025
Aggiornato 00:30
e-commerce

I furgoni del commercio online ci invadono, ma la soluzione è nel bike sharing

Tra il 2006 e il 2014 il numero dei veicoli commerciali impiegati nel mondo è passato da 250 a 330 milioni di unità. Il bike sharing potrebbe essere una soluzione

I furgoni del commercio online ci invadono, ma la soluzione è nel bike sharing
I furgoni del commercio online ci invadono, ma la soluzione è nel bike sharing Foto: Shutterstock

MILANO - Sommersi dai pacchi. E dai veicoli per consegnarceli. Lo shopping online e le richieste sempre più personali dei consumatori stanno spingendo molte aziende a puntare sulla logistica e a intensificare la consegna delle merci, sempre più veloce. Il business della logistica correlata alla mania degli acquisti online sta avendo non poche ripercussioni sulle nostre città. Tra il 2006 e il 2014 il numero dei veicoli commerciali impiegati nel mondo è passato da 250 a 330 milioni di unità, con un incremento pari al 32%. Un numero che, purtroppo, è destinato ad aumentare: se prendiamo in considerazione le 20 economie mondiali più importanti, le attività legate al commercio online dovrebbero passare dagli 880 miliardi di dollari del 2015 ai 1630 previsti nel 2020 con un incremento che raggiunge una cifra record dell’85%. Solo Alibaba, il colosso e-commerce cinese, ha messo sul piatto ben 15 miliardi di dollari per creare una vera e propria rete logistica mondiale. A farne le spese sono le nostre città, sempre più inquinate. Solo per fare un esempio: i veicoli commerciali che transitano per le ‘street’ londinesi sono responsabili del 30% delle emissioni di CO2.

Da un viaggio a 10
Un solo viaggio fatto il sabato pomeriggio al centro commerciale un paio di anni fa, oggi si è evoluto in 10 consegne a domicilio separate, in giorni diversi e in luoghi diversi, dal tappetino vicino alla porta d’ingresso di casa al ‘locker’ vicino al supermercato. Questa, peraltro, potrebbe rappresentare una soluzione auspicabile per ridurre l’impatto dei viaggia commerciali. In Francia, secondo un rapporto di MetroFreight, oltre il 20% degli ordini via internet arriva a un punto di prelievo. La verità è che quando si fa clic sul pulsante ‘buy’ del nostro e-commerce preferito, la maggior parte delle persone non pensano a ciò che accade dopo. Almeno non ci pensano fino a quando non sono bloccati dietro un camion di consegna che è parcheggiato in doppia fila, in pieno centro e sono già in ritardo per arrivare a lavoro.

La ciclologistica
Se da una parte il mondo assiste inesorabile alle lotte sociali che vedono coinvolti tassisti, governi e Uber, o alle grandi sfide tra players come Google o Tesla per costruire la propria auto a guida autonoma, dall’altra parte è altrettanto auspicabile pensare che il prossimo business mondiale non riguarderà tanto le auto, quanto piuttosto le biciclette. Un vero e proprio ‘sacro graal’ della logistica urbana sostenibile, sui cui molti governi stanno puntando.

Il volume del bike sharing (di persone)
Se molto è stato fatto per il trasporto delle persone, ancora molto deve essere fatto per il trasporto delle merci, quando parliamo di biciclette. Pensate al bike sharing. Nel mondo, il bike sharing può oggi contare su quasi un milione di biciclette in cinquanta Paesi, con un totale di 600 servizi. Il mercato cresce di circa il 20% annuo, e ci si aspetta che generi ricavi per 5,8 miliardi di dollari entro il 2020. Immaginate se queste flotte venissero utilizzate per il trasporto di merci, soprattutto in Cina, dove il bike sharing la fa da padrone, dove una città come Hangzhou (7,9 milioni di abitanti), sede del sistema più esteso al mondo, entro il 2020 vuole arrivare a 175.000 biciclette condivise. A tal proposito l’interesse di Alibaba per l’operatore locale di bike sharing Gobee, potrebbe portare a uno sviluppo in tal senso.

L’esempio di PonyZero
Un esempio italiano è rappresentato dalla startup Pony Zero, specializzata nella logistica sostenibile (trasporta prevalentemente in bici) dei prodotti freschi. Consegna per importanti aziende, da Eataly ad Amazon, da Cortilia a Just Eat. Il progetto è nato a Torino nel 2013 per volontà di Marco Actis e Davide Fuggetta, all’epoca non ancora trentenni, «incubato» dall’I3p del Politecnico di Torino. In pochi anni Pony Zero è diventata una realtà consolidata nell’ambito dei cosiddetti «last mile» e del «fresh goods delivery», cioè della consegna rapida di prodotti freschi e della logistica per l’ultimo miglio, tanto da "conquistare" nel tempo anche Milano, Bologna, Genova, Firenze, Bari e Palermo. Entro fine 2017, Pony Zero «sbarcherà» nella capitale. Nella sola Torino, intanto, conta ben 600 clienti.

La palla ai Governi: i droni sono ancora lontani
Se da una parte la soluzione potrebbe essere trovata anche nell’analisi dei Big Data per l’ottimizzazione dei viaggi urbani, dall’altra non sembra rappresentare un’alternativa auspicabile il traffico di merci ad opera di droni e robot. In generale le soluzioni proposte potrebbero ridurre fino al 30% le emissioni (che sparirebbero totalmente usando solo mezzi elettrici), riducendo al contempo i costi di consegna di ogni singolo pacco del 25-55%. Il problema è che per la loro espansione su larga scala dovremo aspettare ancora diversi anni. Qui entrano in gioco le città. A Milano, ad esempio, BikeMi, il bike sharing milanese station based (quello tradizionale, con gli stalli) ha da tempo una dimensione europea, ma costa 6 milioni i euro l’anno, per 3,6 milioni di prelievi annuali. Se parte venissero usati per il trasporto di merci, avremo vantaggi in più.