Lavoro, che cos'è il Blind Recruiment
In pratica, nel momento in cui un’impresa decide di consultare i curricula vitae dei candidati per una posizione vacante, vengono cancellati volontariamente e sistematicamente tutti i dati che possono portare a dei pregiudizi inconsci
MILANO – Cresce sempre di più anche in Italia il fenomeno del Blind Recruitment, ovvero dei cosiddetti ‘colloqui al buio’. Questa particolare tecnica per la ricerca di personale qualificato ha lo scopo di eliminare ogni possibilità di pregiudizio da parte di chi seleziona i migliori candidati per la propria azienda di riferimento.
Il colloquio al buio
In pratica, nel momento in cui un’impresa decide di consultare i curricula vitae dei candidati per una posizione vacante, vengono cancellati volontariamente e sistematicamente tutti i dati che possono portare a dei pregiudizi inconsci. Parliamo dunque del nome, del cognome, del genere, della nazionalità e dell’età, oltre che delle informazioni relative all’educazione: in questo modo, ogni possibile classificazione involontaria basata su dei pregiudizi viene eliminata a monte. Una persona potrebbe per esempio essere sottovalutata per la sua provenienza, o magari sopravvalutata per una laurea conseguita presso un’università particolarmente prestigiosa.
Per le piccole medie imprese
Di certo quella del blind recruitment non è una tecnica creata appositamente per le migliori società di selezione, quanto invece per le piccole e medie imprese le quali, pur non avendo degli addetti HR preposti al recruiting, si trovano talvolta a dover individuare in autonomia i candidati più adatti per il futuro del proprio business. Uno studio condotto presso la Australian National University e firmato da Alison Booth, Andrew Leigh e Elena Varganova ha dimostrato che i lavoratori con dei cognomi cinesi, per riuscire ad accedere ad un colloquio di lavoro in Australia, dovevano mandare mediamente il 68% di curricula in più rispetto ai lavoratori con un cognome anglosassone. Il pregiudizio, in questo, caso, è dunque palese, ma non solo verso i lavoratori di origine cinese: per avere un’opportunità lavorativa in Australia, per esempio, gli italiani devono inoltrare il 12% in più delle candidature rispetto a chi può vantare un nome anglosassone.
Lo dice uno studio
E se non sono pochi gli studi scientifici che dimostrano l’esistenza di concreti pregiudizi nel mondo del lavoro per quanto riguarda il genere e la nazionalità, altrettante ricerche accademiche provano al contrario che un ambiente lavorativo eterogeneo, con professionisti di provenienza e generi diversi, può favorire il raggiungimento di nuovi livelli di produttività fino al 35% in più. Non sono in ogni caso poche le realtà importanti che utilizzano regolarmente i principi del blind recruitment per rafforzare il proprio team: BBC, HSBC, Deloitte hanno per esempio dichiarato di utilizzare da tempo questa tecnica, e lo stesso – anche sull’onda dello studio australiano di cui sopra – stanno facendo sempre più società pubbliche e private in Australia.
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