Panama Papers, e lo scandalo è servito. Ma gli indizi li avevamo da tempo davanti agli occhi
C'era bisogno dei Panama Papers per vedere quello che abbiamo sempre avuto davanti agli occhi? Un sistema profondamente ingiusto, anche laddove è formalmente «legale» (si pensi agli Stati Uniti). Dove gli interessi di pochi erodono i diritti dei più. Un sistema favorito e perpetuato dall'Occidente, che poi si erge pure a moralizzatore
NEW YORK - A cinque giorni dall'uscita dei Panama Papers, continuano ad emergere indiscrezioni e nuovi dettagli a proposito delle ricchezze dei grandi del mondo gelosamente nascoste nei paradisi offshore dei quattro continenti. I dodici milioni di documenti dell'inchiesta stanno scoperchiando un sistema profondamente incancrenito e generalizzato: non c'è quindi da stupirsi se i media internazionali, da giorni, hanno puntato i propri riflettori su una questione a tal punto controversa. Eppure, verrebbe da chiedersi se c'era davvero bisogno dei Panama Papers per rendersi conto delle incredibili disuguaglianze e delle storture del sistema in cui viviamo. Perché abbiamo avuto bisogno della classica «bomba» mediatica per renderci conto di qualcosa che è da sempre sotto i nostri occhi?
Tra disuguaglianza e illegalità
In effetti, come ha opportunamente scritto Giovanni De Mauro, lo scandalo è esibito ai nostri sguardi in modo pressoché costante, ogni giorno. Da una parte le enormi difficoltà che una buona parte della popolazione deve affrontare per sbarcare il lunario ogni mese, dall'altra gli insopportabili privilegi delle élites, perpetuati in barba a qualsiasi senso della giustizia e della legalità. A questo proposito, si possono citare due dei rapporti che la ong Oxfam è solita presentare ogni anno prima del forum di Davos. Il primo è significativamente intitolato Working for the few, tradotto in italiano come La grande disuguaglianza. Il dato centrale di quello studio è che 85 super-ricchi detengono l'equivalente di quanto posseduto da metà della popolazione mondiale. 85 persone contro quasi 4 milardi di persone: come si vede, la sproporzione è immensa. Il secondo rapporto, intitolato Grandi disuguaglianze crescono, è, se possibile, ancora più sconvolgente: perchè denuncia come la ricchezza detenuta dall’1% della popolazione mondiale supererà nel 2016 quella del restante 99%. L'élite in questione ha visto crescere la propria quota di ricchezza dal 44% del 2009 al 48% del 2014 e, a questo ritmo, si supererà il 50% nel 2016. Nel 2014, del rimanente 52% della ricchezza globale, quasi tutto era posseduto da un altro quinto della popolazione mondiale più agiata, mentre il residuale 5,5% rimaneva disponibile per l’80% del resto del mondo: vale a dire 3,851 dollari a testa, 700 volte meno della media detenuta dall'1%. E qui entra in gioco l'illegalità: secondo il rapporto, tra il 2000 e il 2004 la ricchezza detenuta nei paradisi fiscali è più che quadruplicata, arrivando - solo per i patrimoni privati - a 7.600 miliardi di dollari.
Il caso degli Stati Uniti
Fa quindi abbastanza sorridere Barack Obama, quando dichiara: «Lo scandalo dei Panama Papers mostra come l'elusione fiscale sia un problema globale». Più che un'analisi della situazione, è un'ovvietà. E fa ancora più sorridere - ma amaramente -, se si pensa che il presidente Usa, nel 2011, ha chiuso un Accordo di Libero Scambio con Panama, un Paese di due milioni di anime, Paese che, come principale caratteristica, ha quella di essere un approdo per capitali desiderosi di non pagare le tasse negli Stati Uniti. Il paradosso si spinge ai massimi livelli se si pensa a un altro dettaglio: gli Usa sono una specie di paradiso fiscale a cielo aperto. E il motivo per cui nell'inchiesta compaiono pochissimi nomi americani - secondo il Guardian - è esattamente questo: i cittadini americani non hanno bisogno del sole di Panama per nascondere le proprie fortune. Per Maurizio Blondet, i Panama Papers non sono altro che il risultato della «guerra che gli americani attraverso i loro servizi segreti e l’influenza su alcuni organismi sovranazionali chiave (Ocse) hanno fatto contro i così detti 'paradisi fiscali' altrui».Perché poi, se ben si guarda, stati come il Delaware, il Wyoming e il Nevada sono da decenni all’opera come paradisi nel segreto on-shore, e si sono specializzati nella creazione di società di comodo per chiunque desidera nascondere i beni d’oltremare. Qui non si sta parlando delle Isole Vergini: si sta parlando degli Stati Uniti d'America.
Ciò che è legale è per forza giusto?
E poi c'è l'ultimo tassello: la sostanziale, talvolta anche abissale differenza tra ciò che è giusto è ciò che è legale. La legalità, si sa, è soltanto una formalizzazione convenzionale di una più astratta idea di giustizia, e non è affatto detto che la legge, in quanto prodotto umano e, per di più, di un'elite, sia sinonimo e garante di equità. Si pensi allo stesso caso del Delaware: formalmente non può essere considerato un paradiso off-shore in senso classico, perché è la stessa legge che dà l'opportunità di usufruire di un regime fiscale agevolato, al punto da rendere quel territorio la miglior giurisdizione per la formazione di società. Come riporta Blondet, il Delaware, dunque, «offre la migliore protezione per chi non vuole rivelare la propria identità come beneficiario di una società e promuove elevati livelli di segreto bancario: non rivela i dettagli sui conti societari. Consente inoltre alle aziende di ri-domiciliarsi entro i propri confini, infatti questo stato ospita circa il 50% delle imprese quotate degli USA». Il tutto alla luce del sole. Eppure, sono regimi di questo tipo che moltiplicano gli affari dei pochi e le sofferenze dei più. I sostenitori della deregolamentazione fiscale sostengo che essa sia utile per accrescere la ricchezza; peccato, però, che tale ricchezza rimanga costantemente concentrata nelle mani di pochi eletti. E che cosa c'è di «giusto» in tutto questo?
Ci servivano i Panama Papers?
Ci volevano i Panama Papers per ricordarci di tutto ciò? Certo, vedere nero su bianco i nomi di grandi leader mondiali coinvolti in simili affari ha certamente un impatto non indifferente. Eppure, quel dossier ha finito per apparecchiare uno scandalo «su misura», distogliendo però l'attenzione dal problema di fondo. Che non è Putin - principale bersaglio della stampa occidentale -; ma che è la profonda ingiustizia su cui si basa il sistema economico costruito ed esportato dal civilissimo Occidente. Un sistema che ha eroso giorno dopo giorno la classe media: negli Stati Uniti quest'ultima, che nel 1971 comprendeva il 61% degli americani, ne include il 50%. Un sistema che ha arricchito i pochissimi a discapito della gran parte della popolazione mondiale. Questo scandalo è da sempre sotto i nostri occhi, è nelle strade che frequentiamo, nei quartieri più degradati delle nostre città, negli accampamenti a cielo aperto dei senzatetto, nelle metropolitane, nei cassonetti in cui i nostri pensionati sono costretti a rovistare. Non c'è bisogno di andare a Panama, purtroppo.
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