2 maggio 2024
Aggiornato 10:30
Disordini Xinjiang

Cina: una settimana dopo le violenze, calma vigilata a Urumqi

Bilancio ufficiale delle tensioni interetniche salito a 184 morti

URUMQI - Le forze dell'ordine presidiano in massa stamattina Urumqi, capitale della regione cinese dello Xinjiang teatro di scontri etnici fra gli uiguri e gli han. In città la popolazione sembra aver ripreso regolarmente le sue attività, dopo circa una settimana dalle manifestazioni di domenica scorsa costate la vita ad almeno 184 persone.

L'opposizione in esilio cita un bilancio di diverse migliaia di morti, e aumentano le proteste della comunità internazionale. Il premier turco Recep Tayyip Erdogan ha parlato di «genocidio» e Amnesty International ha chiesto al governo cinese un'indagine «seria». Ieri la polizia ha disperso una manifestazione di alcune centinaia di musulmani uighuri, che si erano riuniti davanti a una moschea dopo le preghiere del venerdì.

Testimoni hanno riferito che cinque o sei persone sono state arrestate. Per il resto, la maggior parte delle moschee sono rimaste chiuse, suscitando le proteste di una parte della popolazione. Stamattina la presenza della polizia, ancora molto visibile, è stata comunque ridimensionata e i lunghi convogli di camion militari hanno lasciato il posto ad agili pattuglie in jeep.

«Va tutto bene. La situazione è stabile. Ormai sono diversi giorni che non abbiamo più problemi» spiega Hamadi, guardia di sicurezza in un grande magazzino di informatica sulla via del Popolo, che separa i quartieri uiguri da quelli dei cinesi han. Anche le altre località dello Xinjiang sembrano calme, ma gli operatori alberghieri di Aksu, Yining e Hetian raccontano che molti turisti sono andati via a causa degli eccessivi controlli delle forze di sicurezza.

Ieri i giornalisti stranieri sono stati espulsi da Kashgar, seconda città e capitale culturale e religiosa dello Xinjiang. Le autorità regionali hanno rivisto in tarda serata il bilancio ufficiale delle vittime, salito a 184 morti e un migliaio di feriti, colpiti negli scontri di domenica scorsa e scoppiati quando centinaia di uiguri, una minoranza etnica musulmana, si sono scontrati prima con la polizia poi con gli immigrati cinesi.

Per la prima volta, c'è stato un conteggio dei morti per comunità: 137 han (l'etnia maggioritaria in Cina), 46 uighuri (etnia maggioritaria nello Xinjiang, musulmana e turcofona) e un hui, altra minoranza musulmana. Il precedente bilancio cinese parlava di 156 morti e mille feriti. La dissidente uigura in esilio Rebiya Kadeer, leader del 'Congresso mondiale uiguro' immediatamente accusato da Pechino di aver fomentato gli scontri - sostiene che negli scontri potrebbero essere morte addirittura migliaia di persone.

L'amministrazione di Urumqi ha annunciato che le famiglie dei «civili innocenti» caduti negli scontri riceveranno un risarcimento di 200mila yuan (21mila euro) e 10mila yuan di aiuto per i funerali. Il governo regionale ha precisato che questa misura riguarda «tutti i morti, han e uiguri». Diversi musulmani si sono lamentati di non essere riusciti a recuperare i corpi dei cari.

Secondo testimonianze raccolte dai giornalisti sul posto, i membri della comunità uigura domenica scorsa sono stati presi di mira dagli han, dopo le tensioni di una settimana prima in uno stabilimento di Canton in cui due uiguri erano stati uccisi. I dissidenti uiguri sostengono che gli scontri siano scoppiati dopo la repressione brutale da parte della polizia di una manifestazione pacifica di uiguri. A loro volta, orde di han in cerca di vendetta e armati di bastoni e catene sono scesi nelle strade martedì e mercoledì, scatenandosi contro i musulmani.