28 agosto 2025
Aggiornato 04:00

Obama firma legge omnibus: anche norme Cuba meno rigide

Una manovra «imperfetta». Questione stanziamenti ancora calda

WASHINGTON - Una manovra da 410 miliardi di dollari, «imperfetta», ma necessaria. E' così che il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha definito il piano volto a finanziare le spese del governo federale fino alla fine dell'anno fiscale 2009 (che cade il 30 settembre di quest'anno). Piano che ieri ha ricevuto finalmente il sì del Senato Usa, e che è stato firmato oggi da Obama. E piano, anche, volto a distendere le relazioni tra gli Usa e Cuba, visto che con esso saranno finalmente eliminate alcune restrizioni che erano state imposte dall'ex presidente George W. Bush nel 2004.

La firma però non è stata apposta in pubblico, ma in privato: e il presidente ha ignorato anche le domande dei giornalisti che, nel corso della conferenza stampa indetta alla Casa Bianca, hanno chiesto il perchè di una tale decisione. Non che ci fosse bisogno di una risposta esplicita: è da giorni infatti che la stampa americana parla dell'accanimento contro la manovra manifestato da molti membri dell'opposizione repubblicana. Da un lato, infatti, i repubblicani hanno gridato allo scandalo circa numerosi stanziamenti che la manovra presenta: sarebbero in tutto quasi 9.000, e secondo la stessa associazione «Taxpayers for Common Sense» valgono ben 7,7 miliardi di dollari (lo staff repubblicano della Commissione di stanziamenti della Camera parla invece di 7.991 stanziamenti, per un valore di 5,5 miliardi di dollari). Dall'altro lato, l'eliminazione delle restrizioni che Bush aveva imposto su Cuba proprio non è andata giù a tanti. Queste stesse ragioni avevano portato i repubblicani del Senato a bloccare la manovra da 410 miliardi di dollari, la scorsa settimana.

L'impasse aveva scatenato forti timori che il governo rimanesse senza fondi, e per questo motivo venerdì scorso, prima la Camera e poi il Senato, avevano approvato una soluzione tappabuchi per garantire la copertura finanziaria all'amministrazione, per altri cinque giorni. Alla fine, l'impasse è stata risolta e il Senato ha appunto dato il suo ok alla manovra: sì finale dunque sia agli stanziamenti che allo stop delle restrizioni imposte su Cuba nell'era di Bush. E su quest'ultimo punto le speranze sono molte. Il piano permetterà in particolare ai cittadini americani con famiglia a Cuba di far visita al paese anche una volta all'anno, e fermarsi per un periodo di tempo illimitato (contro le precedenti sanzioni, che avevano stabilito un solo viaggio ogni tre anni, e che avevano fissato per la permanenza a Cuba un tempo massimo di 14 giorni per volta). Ancora, vengono alleggerite altre sanzioni imposte sulle importazioni di medicinali e di beni alimentari. Tanto che i più ottimisti sperano già da ora nella fine dell'embargo sul paese, mentre molti repubblicani trattengono a stento la loro delusione.

Per Obama, questo piano nel complesso si è rivelato insomma una vittoria piuttosto amara. Ma nonostante le polemiche, o forse proprio per questo, prima di firmare il presidente ha difeso la manovra «imperfetta», affermando che la legge può essere considerata anzi alla stregua «di un punto di partenza da cui partiranno grandi cambiamenti». Il pacchetto di spese, secondo Obama, deve inoltre avere come obiettivo porre «fine al vecchio modo di fare business». Riguardo agli stanziamenti di certo, ha ammesso, questi hanno alimentato «il cinismo». E' necessario dunque che gli stanziamenti futuri abbiano «obiettivi degni e legittimi», e che si distinguano da quelli del passato, che spesso sono stati «strumenti di sprechi, di frodi e di abusi». Ciò detto, «ci sono momenti in cui gli stanziamenti possono essere positivi» ed è importante che «ognuno di essi sia aperto a (essere esaminato) in udienze pubbliche, in modo che le spese vengano giustificate di fronte ai contribuenti».

Soprattutto, gli «earmarks», così come sono conosciuti, non devono essere legati a «favori di natura politica». Con il suo discorso, Obama ha voluto dare così al suo piano la caratteristica della novità rispetto all'era di Bush. Ma questa volta il suo desiderio di rompere con il passato non ha convinto del tutto, e molti repubblicani gli hanno anzi rinfacciato i numerosi discorsi della sua campagna presidenziale, quando aveva promesso di abolire le spese inutili e gli sprechi del Congresso. Rimane la questione cubana. A tal proposito, è importante sottolineare tuttavia che lo stesso Timothy Geithner, segretario al Tesoro Usa, è riuscito ieri a convincere due senatori che si erano detti sconcertati dalla decisione di liminare le sanzioni imposte da Bush nel 2004. I due sono stati rassicurati proprio sul fatto che alla fine non ci saranno grandi cambiamenti nelle norme che disciplinano la vendita di prodotti agricoli e i viaggi di lavoro a Cuba. Dunque, molte limitazioni sulle esportazioni e sui viaggi, di fatto, rimarranno. Sulla questione Geithner non si è voluto esporre più di tanto. Il governo «sta al momento rivedendo la politica degli Stati Uniti verso Cuba, al fine di stabilire il modo migliore per promuovere il cambiamento democratico nel paese e per migliorare le vite del popolo cubano», ha detto. La parola passa ancora, dunque, a Obama.