20 marzo 2025
Aggiornato 05:30
Parte da Napoli un nuovo campione del «made in Italy»

Giuseppe Varriale: «se a qualcuno piace Zucchero noi ci siamo»

«Papillon», una impresa artigianale nata a Capodimonte ha già scalato il mercato delle grandi licenze e della grande distribuzione. Ma il suo giovane manager ha lanciato un nuovo marchio con l’ambizione di diventare una catena di prodotti dolciari di alta qualità da offrire con la formula «dal produttore al consumatore».

«Siamo orgogliosi di essere napoletani. Siamo fieri di essere fra quei pochi in Italia che mentre gli altri si ritirano, scelgono di investire per diventare più grandi.»

Giuseppe Varriale, 32 anni, una moglie americana, e un figlio di 3 anni, nel disegnare il profilo e le strategie dell'azienda di famiglia, ci mette l'entusiasmo del classico uomo del sud, ma sta ben attento a coniugare la passione con la lucidità di un manager che si è formato a Londra e negli spogliatoi delle grandi multinazionali.

«Veniamo da lontano - racconta - Mio padre Vincenzo fondò l'azienda come si faceva una volta, uno sgabuzzino per produrre la merce e poi via a venderla direttamente a chi la diffondeva sul mercato. Nel nostro caso – ci tiene a specificare Varriale con una punta di nostalgia - il mercato non era quello con la «M» maiuscola citato dagli economisti, ma il più modesto mercato rionale: allora i nostri punti di riferimento, chi portava i nostri dolciumi alla clientela, erano infatti i venditori ambulanti napoletani».

Dagli anni eroici di papà Vincenzo molta acqua è passato sotto i ponti. E il tempo, in questo caso, ha giocato a favore di quella piccola azienda familiare partita da Capodimonte, che con il passare degli anni ha potuto contare sull’apporto di un player nato in casa, ma cresciuto all’ombra della globalizzazione e di gruppi di stampo internazionale. E’ infatti con l’ingresso in squadra di Giuseppe Varriale, il primogenito del fondatore, che l’azienda (nel 1979 aveva già assunto il nome multicolore di Papillon) comincia a conquistarsi un posto di rilievo nella produzione dolciaria nazionale.

Il giovane Varriale riesce infatti a mettere nel motore di Papillon un carburante adatto ai grandi circuiti e alle grandi ambizioni, frutto di scelte che vengono da lontano. Il primogenito di papà Vincenzo infatti, sebbene da bambino abbia toccato con mano le soddisfazioni che può dare il lavoro artigianale, appena l’età glielo consente prende il largo per piazze dal taglio internazionale. Dopo la laurea in economia non perde tempo e sbarca a Londra, dove come tanti atri giovani, studia e nello stesso tempo si industria nei mestieri più vari. Arriva così il master in business management e il primo impiego in una grande gruppo bancario londinese. Poi il passaggio alla Barilla i cui vertici, dopo due anni, vorrebbero premiarlo finanziandogli una specializzazione da conseguire ad Harvard.

La tentazione ad accettare è forte, ma davanti al bivio di incamminarsi decisamente verso la strada delle multinazionali o prendere in mano le redini dell’azienda di famiglia, sceglie Napoli, le caramelle, i cioccolatini, i dolciumi della Papillon di papà Vincenzo che nel frattempo si è già strutturata ed è pronta a fare il grande salto.

«Sapevo di avere in mano un’ impresa sana, capace di autofinanziarsi, e prodotti di grande qualità da presentare alla clientela. Non è stato facile uscire dal mondo dei grandi gruppi. Ma ero confortato dalla certezza che nel passare all’impresa di famiglia non stavo correndo alcun rischio», ricorda Varriale.

Così è cominciata la scalata alle licenze, da quelle delle squadre di calcio (il Napoli, naturalmente, ma anche la Roma di Totti e la Lazio di Candreva) fino ai personaggi dei cartoon della Universal Studios per aprire alla Papillon le porte della grande distribuzione, dei centri commerciali, dei negozi specializzati.

«Non è stata una passeggiata fare il salto- spiega il giovane imprenditore- ma sono stato facilitato dall’ alta gamma dei nostri prodotti. Oltre alla grande esperienza che abbiamo, ci premia la scelta degli ingredienti: non usiamo conservanti, non usiamo che colori naturali, anche a costo di rendere meno brillanti alla vista i nostri prodotti. La nostra cioccolata è prodotta con ricette che risalgono al 1880 e per la materia prima ci serviamo della famosissima belga Callebaut».

Non temete di andare controcorrente anche nei gusti alimentari, proponendo dolci ad una popolazione che non fa altro che parlare di diete?
«Stabilito che tutto dipende dalle quantità, sono sicuro di non sbagliare nel dire come sia preferibile un moderato consumo di dolci assolutamente sani alla assunzione di cibi che spesso si presentano come dietetici, ma se poi si va a verificare attraverso le etichette si scoprono decine di voci a volte comprensibili solo a chi ha una laurea in chimica», risponde Varriale, buttandola sullo scherzo, ma non troppo.

Papillon da poco ha fatto un altro balzo in avanti e ha deciso di presentarsi direttamente al mercato con la vendita diretta dei suoi prodotti. La vostra location negli spazi commerciali del nuovo polo ferroviario di Roma, alla stazione Tiburtina- ha chiesto il Diario del Web a Giueppe Varriale- è la conclusione di un piano, o il primo passo di un progetto molto più vasto?
«E’ sicuramente la prima mossa di un disegno che perseguiamo avendo fatto esordire un nuovo marchio: si chiameranno infatti «Zucchero» (come la location Tiburtina) una serie di punti vendita diretta che intendiamo aprire nelle più grandi città italiane. A partire da un nuovo «Zucchero» che presto inaugureremo in una zona più centrale, ma altrettanto commerciale di Roma».  

Zucchero si chiamava anche Marilyn Monroe nel film «A qualcuno piace caldo». Il vostro slogan potrebbe essere «Some like sugar», qualora fosse nei vostri progetti pensare all’estero. O non ci avete ancora pensato?
«La nostra è una storia di passi piccoli, ma inesorabili. E l’alimentazione è una delle voci del made in Italy più richieste all’estero. Zucchero o «sugar», noi ci saremo», conclude sorridendo Giuseppe Varriale.

Sicuramente sentiremo parlare ancora di lui e di «Zucchero».