20 aprile 2024
Aggiornato 11:30

La corruzione ha oscurato il nucleare

Dalla campagna elettorale è scomparso un tema che riguarda il futuro degli italiani

Fra i tanti danni che la corruzione provoca al Paese se ne deve aggiungere un altro: il clamore intorno agli affari del G8 e la bufera della truffa internazionale sulle telecomunicazioni hanno finito per oscurare i temi principali che riguardano le prossime elezioni regionali.
Fra questi ce n’ è uno di capitale importanza che richiederebbe un ampio dibattito per dare la possibilità ai cittadini di potersi esprimere dopo essere stati messi al corrente su tutto quello che c’è da sapere al riguardo.
Stiamo parlando del nucleare.

Il governo nei mesi scorsi, nel varare la «legge sviluppo» ha riaperto la strada alle centrali nucleari, un percorso interrotto in Italia dopo l’esito negativo del referendum che si tenne nel 1987.
Le ragioni di questa svolta sono racchiuse in poche cifre: paghiamo l’elettricità il 30 per cento in più che nel resto d’Europa e il 50 per cento in più della Francia dalla quale principalmente ci riforniamo.
E’ di questi giorni, anche se in queste ore c’è stato un rinvio di sei mesi, la decisione della multinazionale Alcoa di abbandonare la Sardegna per portare altrove la sua fabbrica: produce l’alluminio cioè il materiale che richiede maggiore energia nella lavorazione. Risultato la bolletta elettrica dell’Alcoa può costare la perdita di due mila posti di lavoro.
Le motivazioni contro il nucleare sono ancora quelle che furono alla base della vittoria del «no» nel 1987, sulla scia della tragedia di Cerbobyl.: l’atomo fa paura e sono in molti a pensare che sarà pure conveniente, ma è meglio non averlo nel proprio giardino.
Veramente in questo periodo si è passati, nella considerazioni spaziali, dal cortile sotto casa al territorio regionale. Di conseguenza lo slogan in voga è passato da «no nel mio giardino» a «no nel mio mandato».
Infatti secondo una mappa ricostruita da Legambiente sono perlomeno 15 i candidati governatori a promettere agli elettori di essere pronti a fare sudo con il proprio corpo pur di non far passare la costruzione delle centrali.
Undici dei quindici hanno già preso carta e penna e hanno investito della questione la Corte Costituzionale.
Ritengono che il Governo non abbia competenza per legiferare in questa materia a dispetto di quanto stabilito dalla Regioni. E alcuni dei ricorrenti si sono già affrettati, a scanso di equivoci, a rinverdire il «no» del 1987 con provvedimenti freschi di approvazione.
Così ancora una volta un principio fondamentale viene lasciato all’interpretazione giuridica della Corte, quando a monte delle decisioni ci sono pure dei nodi interpretativi da sciogliere, ma il punto centrarle del problema non sta nei codici o negli statuti, ma nelle valutazioni scientifiche.

Vogliamo illuderci, in sostanza, che senza il ciclone della corruzione giornali e televisione, in vista delle regionali, avrebbero dedicato gran parte dello spazio a loro disposizione per indagare sulla validità tecnologica della scelta nucleare del governo, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza, ma anche in merito ai costi e ai tempi di attuazione del progetto.
Quello del nucleare non è un argomento che può essere affrontato partendo da pregiudizi ideologici, di qualsiasi tipo.
Tanto per tornare al referendum del 1987 c’è chi ha quantificato in 50 miliardi di euro il prezzo che la comunità ha dovuto pagare per quel «no».
Quanto si sarebbe potuto fare per l’ambiente, per l’occupazione, per lo sviluppo con quei 50 miliardi?
Non bisogna dimenticare che a metà degli anni settanta la tecnologia nucleare in Italia, terra dei Fermi e dei Segre, era all’avanguardia. Oggi se dovessimo costruire una nuova centrale dovremmo essere totalmente dipendenti dai brevetti francesi.
Le cose, come sappiamo sono andate diversamente. Ma nel frattempo quanto abbiamo appestato l’atmosfera, prima con le centrali a carbone, poi con quelle termoelettriche, alimentate per anni con il petrolio libico ad alto contenuto di piombo?
Non bisogna dimenticare che l’energia prodotta dall’atomo è energia pulita.
E’ vero i danni del fiume Ambro gonfio di petrolio, benché disastrosi, non sono nemmeno paragonabili ad una eventuale fuoriuscita di materiale radioattivo. Ma i danni dell’effetto serra prodotto da idrocarburi, rispetto al capovolgimento del clima, ai ghiacciai che si sciolgono, alla desertificazione o alle inondazioni delle coste sono paragonabili eccome ai rischi nucleari.

Il problema, va detto una volta per tutte, non è l’incidente (praticamente in cinquanta anni c’è stato solo Cernobyl) ma l’eliminazione delle scorie e la chiusura degli impianti, quando, dopo un certo numero di anni, si dimostrassero obsolete.
E’ bene ricordare che le vecchie centrali nucleari italiane sono state dismesse, ma non chiuse.
Nella piscina centrale di Caorso ci sono 700 barre radioattive pari a 1.400 Kg di plutonio.
A Trino Vercellese ci sono 47 barre radioattive pari a 150 Kg di plutonio.
A Borgo Sabotino c’ è il problema dello smaltimento della grafite radioattiva.
Da quando sono state dismesse ad oggi, come contribuenti, abbiamo speso circa sei miliardi di euro per lasciarle lì dove sono, correndo praticamente gli stessi rischi, ma senza ottenere un kilowattore di elettricità.
Eppure in Spagna un comune della provincia di Terragona, che convive con il nucleare da oltre venti anni si è candidato ad ospitare il cimitero nazionale delle scorie che Madrid ha deciso di costruire. E immediatamente altri dieci comuni si sono candidati a soffiargli il «privilegio». Allettano i 500 posti di lavoro e i 2,4 milioni di euro che Zapatero promette come risarcimento per il disturbo.
In Francia, ai confine con il Meuse e l’Houte Marne, sotto i vigneti dello Champagne, il governo di Parigi sta costruendo un gigantesco cimitero delle scorie a 500 metri di profondità. Sarà pronto entro il 2025. Praticamente quando saranno entrate a regime le centrali che il governo italiano ha deciso di costruire.
Poiché dopo i fatti di Scanzano Ionico del 2003 non si è parlato più di trovare un sito per le scorie italiane, vuoi vedere che, insieme ai brevetti, Palazzo Chigi ha deciso di comprare dai francesi anche i loculi dove far «riposare» le scorie italiane?
C’è però un piccolo particolare: i francesi per il «cimitero» della radioattività stanno spendendo 60 miliardi di euro. A lume di naso comprare i «loculi » da loro, se questo fosse il progetto, forse ci costerebbe di più che pagare l’elettricità che potrebbero continuare a rifornirci dalle loro centrali, come facciamo adesso.
Però dovremmo rinunciare agli appalti fatti in casa.