28 marzo 2024
Aggiornato 20:30
Bonanni della Cisl chiede un patto per rivalutare i redditi da pensione

Aumentare le pensioni o l’età pensionabile?

Ma intanto bisognerà aspettare il 2015 per adeguarci all’Europa sul momento di staccare dal lavoro

Anche grazie al Corriere della Sera, che per due giorni di seguito ne ha fatto uno degli argomenti principali trattati dal giornale, i pensionati sono usciti dal dimenticatoio per riproporsi come uno dei problemi centrali della società in cui viviamo.
Nel 2009 l’Inps ha staccato 15 milioni e mezzo di assegni con un importo medio di 773 euro al mese. Ma fra tredicesime, interventi tampone del governo Prodi e bonus integrativi concessi dal governo Berlusconi, oggi la stragrande maggioranza dei pensionati italiani vive all’incirca con mille euro al mese. Quindi c’è poco da stare allegri.

Per Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl , il livello di reddito dei pensionati è inaccettabile e maggioranza e opposizione si dovrebbero stringere in un patto per restituire parte di ciò che le riforme che si sono susseguite, il passaggio dal retributivo al contributivo e l’introduzione dell’euro (ossia la speculazione sui prezzi che ha provocato) hanno tolto dalle tasche di chi è uscito per limiti d’età dal sistema produttivo.
Quante probabilità ci sono che la proposta di Bonanni venga accolta? Ben poche se si tiene conto dello stato di salute della casse pubbliche appesantite da un deficit che ha raggiunto la cifra record di 86 miliardi, ben 31 miliardi in più dello scorso anno.
Quindi i margini di manovra sono strettissimi se non impossibili. Infatti il governo ha già fatto sapere che è già tanto se nella buriana della crisi è riuscito a mettere al riparo i pensionati da qualche brutto scherzo. E il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, ha dovuto rinviare a tempi migliori la sua idea di costituire un paniere dell’inflazione a misura dei consumi dei pensionati per monitorare le variazioni reali del loro potere d’acquisto e, di conseguenza, adeguarne i redditi.
Bonanni va giù duro su questo tema e non risparmia nessuno, sia governi di centro sinistra che di centro destra, accusati entrambi di avere tradito i pensionati.
Nessuno può negare che in gran parte sia vero. Ma il capitolo pensioni in Italia va letto secondo più di una prospettiva. Non si può infatti dimenticare la responsabilità di chi, negli anni spesa allegra e dello scambio di voto, fissò a 19 anni sei mesi e un giorno l’assicella per il «buen ritiro» dei dipendenti pubblici.
Ancora oggi, spiega Alberto Brambilla, presidente del comitato per la valutazione del sistema previdenziale, un artigiano che ha cominciato a lavorare nel 1965 ed è andato in pensione nel 2000 con i contributi versati riesce a coprire quattro o cinque anni di pensione, avendo una speranza di vita residua di 26 anni.
Poi c’è il problema del lavoro nero. Sempre secondo Alberto Brambilla, un trenta per cento del Pil italiano viaggia in nero. La prova è che dei 23 milioni di pensioni erogate, moltissime di quelle per vecchiaia sono integrate al minimo, cioè interessano persone che sono state in attività per una vita, ma non sono riuscite a mettere insieme diciassette anni di versamenti, il minimo necessario.

Molte speranze sono riposte nel decennio della nuova austerità previdenziale che si è aperto da pochi giorni.
Entrano infatti in vigore dal 2010, e poi nel 2015, due misure che dovrebbero riportare in equilibrio il sistema.
La prima è legata alle aspettative di vita: più crescono queste ultime, più si abbassano i coefficienti poiché vengono diluiti in un tempo maggiore.
La seconda riguarda l’allungamento dell’età pensionabile.
Quest’ultimo è un punto nodale di tutta la vicenda pensioni.
Perché si debba aspettare il 2015 per alzare l’età pensionabile lo sa solo chi ha a che fare con i calcoli elettorali.
Non si spiega altrimenti il ritardo nell’introduzione di un intervento che, al costo di un sacrificio minimo richiesto a chi può vantare un posto di lavoro sicuro, potrebbe garantire benefici economici da destinare ai giovani o all’aumento dei redditi dei pensionati stessi.
«Vorrei che qualcuno mi spiegasse perché i sindacati hanno sempre minacciato la rivoluzione alla sola idea di far lavorare di più i cinquantenni e trovano normale che si lascino morire di fame i settantenni», ha scritto un lettore sul Corriere.it, centrando il problema.
E’ una domanda alla quale ci associamo pienamente.