L’età della pensione è un tabù solo in Italia
Dal passaggio dal retributivo al contributivo meno soldi meno soldi per tutti
Che cosa ha detto il Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, per mettere d’accordo il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, e il leader della Cgil, Guglielmo Epifani.
Ha tradotto in estrema sintesi quello che ha già fatto o si accinge a fare il resto d’Europa: allungare l’età pensionabile.
Intendiamoci è un copione che avanti da anni salvo l’unico correttivo significativo della riforma Dini, alla quale si è aggiunta qualche toppa, che comunque va e viene a seconda del passaggio dei governi tipo lo «Scalone».
Niente di nuovo dunque, ma solo apparentemente. Se infatti niente è cambiato in quanto ad egoismi generazionali, opportunità elettorali, e corporativismi, moltissimo è mutato delle circostanze in cui questi particolarismi si muovono.
Un esempio? Oggi l’Eurostat ha diffuso dei dati sulla produzione industriale salutati come una boccata d’ossigeno perché in agosto c’è stato un incremento dello 0,9 per cento rispetto a luglio. Ma poi non ha dimenticato di ricordare che su base annuale la produzione industriale è scesa del 15,4 per cento. In Italia il recupero in agosto è stato del 7 per cento, ma il risultato su base annua è stato ancora peggiore, con un crollo del 18,3 per cento.
La Confindustria non fa altro che ripetere che l’ emorragia dei posti di lavoro è tutt’altro che bloccata e lo stesso Osservatore Romano, il quotidiano del Vaticano, stamani ha pubblicato in prima pagina il titolo: «La ripresa c’è, ma i disoccupati non se ne sono accorti».
E’ in questo contesto che è caduta la stringata requisitoria di Mario Draghi, il quale ha detto che a suo giudizio «un correttivo è indispensabile per assicurare prestazioni di importo adeguato ad un numero crescente di pensionati». Il Governatore della Banca d’Italia non è sceso nei dettagli, non ha indicato tetti o limiti, ha semplicemente spostato lo sguardo un po’più in là e ha dipinto una situazione che con il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo, sommato all’allungarsi delle aspettative di vita, chiunque può intravedere nell’ipotizzare il futuro prossimo.
Che cosa ci si poteva aspettare a questo punto? Che qualcuno si facesse forte delle capacità aritmetiche degli Uffici di via Nazionale per aprire perlomeno un dibattito. E invece nel giro non di ore, ma di minuti, Draghi si è ritrovato da solo ad abbaiare alla luna.
Alla velocità della luce è infatti arrivato prima lo stop del ministro del Lavoro, poi quello del suo dirimpettaio della Cgil.
Il caso di Epifani è particolare. Non c’è triangolazione con il governo o con la Confindustria che non lo veda prendere la strada dell’Aventino e della spaccatura del sindacato. Invece in questa occasione ha colto al volo la bocciatura di Sacconi, senza aggiungere nemmeno una virgola alle argomentazioni del ministro. Ma non si è limitato alla giravolta ministeriale, ha anche cercato di superare se stesso proponendo di istituire un tavolo per affrontare tutto l’argomento, pensioni e previdenza in un colpo solo, dimenticando che non c’è stata trattativa recente che non lo abbia visto abbandonare il tavolo intorno al quale si svolgeva, non ultima quella del contratto dei metalmeccanici che Cisl e Uil stanno sottoscrivendo con la Confindustria nonostante l’assenza della Cgil.
L'INPS in soccorso di Sacconi - Sacconi per dire che le pensioni non si toccano ha invece ricordato che l’hanno venturo entrano in vigore i nuovi coefficienti di trasformazione a rinnovo automatico triennale e non più decennale, ed entro la fine della legislatura come confermano i tecnici del ministero, verrà predisposto il regolamento per rendere operativo l’aggancio delle pensioni alle aspettative di vita con un allungamento massimo della data di ritiro non superiore a tre mesi rispetto ai requisiti maturati (61anni per i dipendenti, 62 per gli autonomi con 35 anni di contributi).
Un meccanismo, ha detto il ministro, «che si combina con quanto previsto dai governi Dini e Prodi» e che «ragionevolmente può bastare».
In soccorso di Sacconi è inoltre intervenuto anche il presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua che ha assicurato «I conti tengono».
Quanto ci si possa fidare dei calcoli dell’Inps lo sta a dimostrare il»tesoretto»scoperto da poco dall’Istituto di Previdenza, portato a conoscenza dell’opinione pubblica come fosse stata una scoperta dell’ultima ora del tutto inattesa.
In Europa si percorrono altre strade - Nessuno di chi ha in mano le sorti delle pensioni italiane, ha invece dedicato un pur minimo accenno a quanto sta accadendo nel resto d’Europa, dove i tedeschi hanno già portato l’età pensionabile a 66 anni, e così i francesi che si stanno mettendo sulla stessa strada, per non parlare degli inglesi che già progettano di portarla a 69 anni nel 2020.
Con un debito pubblico in crescita, nonostante sia già al top mondiale, ed entrate in discesa,come testimoniano i dati di queste ultimi giorni, noi italiani il discorso di ritardare di qualche anno l’età pensionabile lo respingiamo come fosse un tabù. Come se oggi il problema non fosse averlo il lavoro, ma lasciarlo il prima possibile, anche se dopo anni di onorate fatiche.
Il futuro nel «calcetto» - E’ possibile che i nostri lavoratori, davanti ad una crisi come quella che stiamo vivendo, davanti alle tante crepe che il sistema planetario ha portato allo scoperto, davanti al futuro oscuro che si presenta per i loro figli non seguano altro istinto che sbrigarsi a raggiungere il centro anziani per giocare a briscola?
Nelle grandi città si sta verificando un fenomeno che certo non può entrare nelle analisi economiche, ma nello stesso tempo è indicativo di scelte a cambiamenti legati alla trasformazione genetica che si sta verificando: molti campi di calcio tradizionali si stanno spacchettando in terreni di dimensioni più piccole per il calcio a 5 o calcio a 8. E’il segno che ci sono sempre meno giovani a calcare i grandi campi regolamentari e sempre più anziani che non vogliano rinunciare a correre dietro ad un pallone.
Possibile che un giovane-anziano che partecipa agli innumerevoli campionati amatoriali over sessanta debba guardare con orrore alla possibilità di continuare, per qualche anno in più, a percepire uno stipendio pieno? Soprattutto se guardandosi intorno non può non vedere che ogni giorno di più cresce il numero dei disoccupati e dei cassintegrati?
A meno che la prospettiva non sia il bricolage, la laurea o il »calcetto», ma il lavoro nero.
Ma questo è un altro discorso e anche un altro problema.
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