23 aprile 2024
Aggiornato 08:00
Sempre più a rischio pane e pasta “made in Italy”

Cereali: prezzi in picchiata e costi alle stelle. Crollate le semine

Prodotti stranieri e di scarsa qualità invadono ormai i mercati

ROMA - La crisi cerealicola non solo non è finita, ma in Italia produrre grano è sempre meno redditizio. I nostri agricoltori fanno i conti con aumenti vertiginosi dei costi dei fattori di produzione (soprattutto i concimi rincarati del 60 per cento nei primi mesi di quest’anno) e con i prezzi di mercato in caduta libera, anche del 40-50 per cento rispetto al 2008. A questo si aggiunge che le semine sono ai minimi storici. Per il grano si registra un calo di oltre il 20 per cento rispetto allo scorso anno, mentre si assiste ad un vera e propria invasione di prodotti stranieri con quotazioni molto basse, ma anche di qualità assai scarsa. E così sono sempre più a rischio il pane e la pasta «made in Italy».

La denuncia viene dalla Cia-Confederazione italiana agricoltori che segnala una situazione sempre più drammatica per il settore cerealicolo del nostro Paese, aggravata anche dalle condizioni climatiche degli ultimi mesi che hanno reso più difficili le semine soprattutto nel Centro Italia e nel Sud. Il quadro è, comunque, complesso per tutte le regioni.

La crescita stellare dei costi produttivi e il dimezzamento dei prezzi praticati sui campi rende ormai poco conveniente produrre cereali in Italia. «Un'azienda cerealicola con 20 ettari di terreno -ha affermato il presidente della Cia Giuseppe Politi- sviluppa un valore alla produzione di circa 30 mila euro l'anno, compresi gli aiuti comunitari pari a 350 euro a ettaro. Per arrivare alla raccolta del grano occorre aver investito almeno un 25 per cento di questo valore in sementi, fertilizzanti, macchinari. E, quindi, anche nell'ipotesi di una stagione climatica favorevole, il coltivatore avrà a fine anno un capitale di 20 mila euro, da cui deve ricavare reddito per sè e per i braccianti. C’è da chiedersi, dunque, se vale la pena produrre grano in Italia e parlare di autosufficienza nelle materie prime di pane e pasta?».

Per il settore cereali si presenta, pertanto, uno scenario sempre più grave. Le quotazioni del grano duro, ad esempio, sono oggi inferiori a quelle di vent’anni fa. Un quintale può essere pagato anche 14-15 euro. La media si aggira in ogni modo intorno ai 17-20 euro. I rincari registrati dai mercati all’inizio del 2008 sono rientrati immediatamente e adesso -avverte la Cia- assistiamo ad una flessione che si aggira attorno al 40 per cento, con punte per il frumento anche del 50 per cento.

Il maltempo e l’ingresso in Italia di notevoli quantità di produzioni (grano, sia duro che tenero, e mais) da parte di paesi come l’Ungheria, la Russia e il Messico a prezzi stracciati -sottolinea la Cia- hanno poi reso la situazione sempre più precaria. Sintomatico quello che è avvenuto nei mesi scorsi in Puglia, dove nei porti regionali sono stati scaricati smisurati quantitativi di grano di provenienza misteriosa e di dubbia qualità. E tutto ciò si è tradotto in un danno per i nostri produttori e per i consumatori che saranno costretti ad acquistare prodotti scadenti.

Per questa ragione la Cia sottolinea la necessità di un riconoscimento della qualità del grano italiano che spesso l’industria (pasta e panificazione), con una visione miope, non vuole dare. Da qui l’esigenza di costituire al più presto una seria interprofessione del settore, che, oltretutto, sconta di un’insufficiente organizzazione.
La Cia chiede, quindi, al ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali una rapida approvazione del Piano di settore cerealico che, pur con una scarsa dotazione finanziaria, potrebbe attivare, in un quadro organico, contratti di filiera, Psr, ricerca e sperimentazione. Accanto a ciò, occorrono investimenti per modernizzare la rete degli stoccaggi e per sviluppare la logistica commerciale.