“Le sfide che attendono l’Industria Alimentare nel 2009”
Auricchio: «il settore ha bisogno di un forte sostegno promozionale all’export, al fine recuperare gap strutturali che vengono di lontano»
1) Promozione coordinata - In una situazione nazionale ed internazionale di estrema difficoltà come quella che stiamo attraversando il settore ha bisogno di un forte sostegno promozionale all’export, al fine recuperare gap strutturali che vengono di lontano. Va aggiunto che sono proprio le aziende più orientate all’esportazione che rischiano di andare incontro alle flessioni di produzione più marcate nel 2009, in quanto i mercati esteri presenteranno contrazioni accentuate rispetto alle ulteriori, marginali erosioni che riserverà il mercato interno.
2) Rapporti con la distribuzione - Sul mercato nazionale occorrerà razionalizzare e rendere trasparenti i rapporti con la distribuzione per tutelare maggiormente i nostri consumatori. Una fase di difficoltà economica generalizzata e quasi emergenziale come quella presente deve essere utilizzata per rendere più coerenti i rapporti di filiera, trasferendo sul consumatore i vantaggi di prezzo e qualità ottenuti dalla distribuzione moderna.
3) Camera di conciliazione - In chiusura 2008 è stata tentata l’elaborazione di un protocollo d’intesa tra Federalimentare, Centromarca, Federdistribuzione, Coop e Conad, finalizzato all’obiettivo di conciliare le controversie tra i fornitori industriali e la distribuzione. Le difficoltà hanno riguardato in particolare il suo ambito applicativo, per cui il protocollo non è ancora decollato. Alla luce di questo impasse, Federalimentare auspica che l’Amministrazione si faccia carico del varo di regole chiare tra fornitori e GDO, attraverso l’autodisciplina ed una Camera di conciliazione privatistica.
4) Materie prime - Va ricordato inoltre che, specialmente in un momento critico come quello presente, la trasformazione alimentare del Paese non può farsi carico di oneri aggiuntivi pesanti, come quelli legati alla indicazione dell’origine geografica delle materie prime utilizzate. Per un settore fisiologicamente e largamente legato alle importazioni di materie prime (spesso presenti in quantità e qualità inadeguate), e che è già sottoposto a garanzie igienico-sanitarie esemplari, queste misure di matrice solo nazionale risultano discriminanti e penalizzanti nella gestione delle aziende, onerose e senza concreti vantaggi per il consumatore. Il Made in Italy alimentare inoltre è diventato così richiesto sui mercati, non per le materie prime, ma per le ricette, la cultura, il lavoro degli imprenditori nazionali che hanno fatto dello stile di vita italiano un «plus» nel mondo. Sarebbe come chiedere alla moda la provenienza della seta e del cotone, o al metalmeccanico l’origine dei metalli o dell’alluminio. Ricordiamoci a tal proposito che la disponibilità a pagare l’italianità delle materie prime, sempre se in quantità e qualità sufficienti, non supera il 3/4% del valore finale del bene, a differenza dei costi di segregazione, certificazione e informazione dell’origine che possono superare in alcuni casi il 20% del valore.