29 marzo 2024
Aggiornato 11:00
Corte di Cassazione - Sezione lavoro - sentenza del 3 dicembre 2008, n. 28718

Compenso dell’avvocato per le collaborazioni coordinate e continuative rese al Comune

Deve essere preventivamente definito

Con la Sentenza del 3 dicembre 2008, n. 28718 la Sezione lavoro della suprema Corte di Cassazione ha stabilito che in caso di collaborazione coordinata e continuativa, il giudice può determinare il corrispettivo in relazione al risultato ed alla quantità e qualità del lavoro, solo se lo stesso non sia stato convenuto tra le parti o, in alternativa, non possa esser stabilito facendo ricorso alle tariffe professionali ed agli usi.
Per la Cassazione anche se la sentenza d’Appello aveva accertato il reiterato conferimento al sostituto avvocato di incarichi per lo svolgimento di attività inerenti all'ufficio legale del Comune, queste procure per la difesa in giudizio però non gli erano state espressamente conferite e dunque la parcella non è stata pattuita, come è previsto che sia - in base all’art. 2225 del codice civile – che prevede che il corrispettivo della prestazione, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe professionali o gli usi, è stabilito dal giudice in relazione al risultato ottenuto e al lavoro normalmente necessario per ottenerlo.
Per la Cassazione l’intervento del giudice non poteva essere invocato in quanto il compenso per le collaborazioni coordinate e continuative risultava già definito con l’avvocato e non con il sostituto.

Fatto e diritto
L’avvocato era stato chiamato alla collaborazione nella qualità di sostituto nominato dal legale costituito in giudizio per il Comune, ma questo, ha rifiutato di pagare in quanto la tariffa professionale non poteva essere applicata ad attività di consulenza e gestione dell'ufficio legale ed in quanto mai gli era stata mai conferita specifica procura.
Peraltro la prestazione di attività lavorativa in base ai contratti stipulati con il Comune escludeva l'esperibilità dell'azione di indebito arricchimento ed il rinnovo del contratto avrebbe potuto avvenire solo in forma scritta.
La Corte di Appello aveva condiviso le conclusioni a cui era pervenuto il Tribunale a cui si era rivolto l’avvocato per farsi pagare dal Comune che invece aveva rigettato a domanda di pagamento di maggiori compensi, sulla base delle tariffe professionali ovvero di altri parametri utili, per l'attività svolta per l'ente locale quale professionista avvocato, in subordine dell'indennizzo per arricchimento ingiustificato, nonché del risarcimento del danno per il mancato rinnovo dell'incarico.

La decisione della Corte di Cassazione
Per la Cassazione le numerose procure erano state in effetti conferite all'avvocato costituito nei giudizi per il Comune, a tanto abilitato in quanto munito del relativo potere mentre il sostituto non aveva ricevuto delega alcuna intervenendo nei processi in questione.
Anche se la sentenza d’Appello aveva accertato il reiterato conferimento al sostituto avvocato di incarichi per lo svolgimento di attività inerenti all'ufficio legale del Comune, queste procure per la difesa in giudizio però non gli erano state espressamente conferite.
Per la Cassazione il carattere del rapporto intercorso tra il Comune e il professionista legale non può essere desunto dalla mera qualifica professionale del prestatore d'opera, né dall'eventuale coincidenza delle prestazioni svolte con quelle indicate come stragiudiziali dalla tariffa forense, dovendosi dare rilevanza al contenuto funzionale di esse; con la conseguenza che, ove dette prestazioni non si esplichino su di un piano quanto meno complementare rispetto all'espletamento del mandato per la difesa e rappresentanza in giudizio, non insorge un rapporto professionale tra patrono e cliente, tale da determinare, secondo norme inderogabili, il contenuto economico del compenso.

Corte di Cassazione - Sezione lavoro - sentenza del 3 dicembre 2008, n. 28718