16 aprile 2024
Aggiornato 09:00
Letteratura

José Revueltas e l'invenzione della prigione

Dell'impossibilità di evadere e dell'idea stessa di prigione, ha scritto in un testo del 1969 il messicano José Revueltas: «Le scimmie», che ora viene pubblicato in volume in Italia dalle edizioni Sur.

MILANO - La prigione era ovunque, raccontava Italo Calvino nel suo memorabile racconto «Il conte di Montecristo», e ogni tentativo di evasione del suo abate Faria era surreale e grottesco, oltre che impossibile. Di questa impossibilità e dell'idea stessa di prigione, ha scritto in un testo del 1969 il messicano José Revueltas: «Le scimmie», che ora viene pubblicato in volume in Italia dalle edizioni Sur. Un libro, breve ma poderoso, che diventa dimostrazione inoppugnabile e sconvolgente del modo in cui la lingua letteraria, una lingua in questo caso ricchissima, quasi tronfia di subordinate che ridanno senso a una parola come «discorso» (nell'accezione più profonda del termine), possa essere a tutti gli effetti una forza creatrice. «In principio era il Verbo», recita uno degli incipit più celebri e venerati di sempre, lo stesso vale per Revueltas e per questo suo libro, che sa essere fondativo anche se in realtà è arrivato alla fine della carriera dello scrittore, cinque anni prima della sua morte, a 62 anni, nel 1976.

La storia è minima: tre detenuti disperati, tre tossici in isolamento - Polonio, Albino e il Coglione - architettano un piano per farsi recapitare della droga. Finirà male, con un piccolo massacro, nel quale tanto i detenuti quanto i secondini - le scimmie del titolo, prigionieri a loro volta nel sistema detentivo di cui sono chiamati a farsi garanti - usciranno devastati e, inevitabilmente, sconfitti. Ma quello che conta, oltre alla prospettiva dello sguardo di Revueltas, è l'universo che il narratore riesce a creare, l'allucinazione indefettibile che sorregge ogni singolo passaggio del libro, quella spaventosa precisione realistica, che insiste sul dettaglio anche anatomico (come nel caso delle perquisizioni intime inflitte alle parenti dei detenuti al momento di entrare in carcere), ma che in fin dei conti crea un effetto complessivo straniante e, si direbbe dall'altra parte del continente americano, «larger than life», più grande della stessa realtà che si propone, riuscendoci, di descrivere dall'interno.

José Revueltas, come senza essere molto originali si può anche supporre dal suo cognome, aveva la ribellione nel sangue e la sua biografia, di cui nel libro di Sur è presente una sintesi efficace firmata dalla curatrice Alessandra Riccio, è costellata di dissidenze e detenzioni. Comunista convinto, anche degli errori dei suoi, è rimasto a lungo una figura altra a ogni tipologia di sistema, fosse quello del potere in Messico oppure l'altra chiesa, quella che viveva all'ombra dell'ortodossia marxista, sovietica o castrista che fosse. E allora ecco la galera, anche in tarda età, dalla quale esce con il racconto «Le scimmie», senza livore, senza sfoghi, ma solo con un oggetto letterario che è, come il suo autore, pura alterità, meraviglia inattaccabile, a suo modo verità definitiva. Scritta da un autore che, ovviamente, non crede in nessun modo che esista una verità definitiva. Qui sta il trucco e qui anche la vittoria, postuma quanto volete, di José Revueltas. Di lui la scrittrice e giornalista sua conterranea Elena Poniatowska, scrive che era una «immagine angelica che riflette sempre un Lucifero cangiante». Una definizione che si adatta perfettamente, volenti o nolenti, alla stessa Letteratura, e la elle maiuscola non è un refuso.

Ultima nota: leggendo Revueltas si sente vibrare la stessa energia che anima le pagine di un altro grande sudamericano venuto dopo di lui, il cileno esule Roberto Bolano che a lungo a vissuto in Messico. Senza scomodare il mistero borgesiano dell'influenza, resta la certezza che i semi letterari gettati anche nei modi più eterodossi prima o poi daranno un frutto.