Django unchained, spaghetti-western contro il razzismo
Il regista Quentin Tarantino è arrivato in quella che è stata la patria del genere spaghetti-western per presentare il suo western contro il razzismo, «Django Unchained», in cui l'eroe è un cacciatore di taglie nero che combatte la schiavitù alla vigilia della Guerra Civile americana
ROMA - Il regista Quentin Tarantino è arrivato in quella che è stata la patria del genere spaghetti-western per presentare il suo western contro il razzismo, «Django Unchained», in cui l'eroe è un cacciatore di taglie nero che combatte la schiavitù alla vigilia della Guerra Civile americana.
«Mi è sempre piaciuto il genere western nelle sue varie forme, da quello americano e quello tedesco, ma ho un debole per quello italiano, per il suo surrealismo e per gli estremi che rappresenta», ha affermato Tarantino. Il film, che in Usa è primo al box office, uscirà in Italia il 17 gennaio, e per parlarne Tarantino ha portato con sé a Roma Jamie Foxx, Christopher Waltz, Samuel L. Jackson, Kerry Washington e Franco Nero, interprete del Django originale di Sergio Corbucci.
Tarantino ha sottolineato similitudini e differenze con il vecchio Django: «Entrambi toccano il tema del razzismo, ma io avevo la mia storia americana da raccontare: volevo prendere il cappello di Franco Nero e metterlo sulla testa di Jamie». Per Tarantino l'eroe del suo film non poteva che essere nero, anche se nel suo viaggio Django è accompagnato da un cacciatore di taglie di origine tedesca che gli insegna ad essere un vero cowboy: «In genere a Hollywood si teme che il pubblico bianco non possa vedere il razzismo con gli occhi di un uomo di colore. Nel film l'europeo bianco crede di capire quel mondo di violenza e razzismo, ma solo Django può davvero comprendere, non con la ragione ma con l'istinto, la violenza che lo circonda».
Il film in Usa è stato attaccato dal regista Spike Lee, che ha accusato Tarantino di trattare l'olocausto dei neri con troppa leggerezza, e oggi a Roma il protagonista Jamie Foxx ha risposto: «Sapevamo di affrontare una questione scottante, ma questo film è stato fatto da persone di intelligenti, di talento, e il pubblico lo ha capito, perché è un successo».
Lee Jackson: nel film rappresentazione onesta orrori schiavitù - Per Samuel Lee Jackson «nel film c'è una rappresentazione onesta degli orrori della schiavitù: doveva intrattenere e far venire repulsione per quello che si mostrava». Secondo Kerry Washington, tutti gli attori avevano una grande responsabilità: «Dovevamo essere pronti ad incarnare degli orrori, perché questo era il viaggio di un eroe che deve uccidere il drago della schiavitù». Christopher Waltz ha invece affermato: «Io tratto le sceneggiature di Quentin come un'opera di Shakespeare: sono una forma di letteratura in sé e io dovevo solo essere all'altezza di quel testo».
Tarantino, ora, pensa a un film sui neri che hanno partecipato allo sbarco in Normandia, raccontandone un aspetto sconosciuto: «Ho scritto metà della sceneggiatura, non so se sarà il mio prossimo film, ma la storia è interessante, perché i neri non partecipavano allo sbarco: il giorno dopo avevano solo il compito di raccogliere i corpi sulla spiaggia e scavare le fosse per sotterrare i tedeschi».
Intanto questa sera, per l'anteprima europea del film a Roma per Tarantino è previsto un red carpet con Ennio Morricone e molti protagonisti di quegli spaghetti-western che lui adora, da Giuliano Gemma a Enzo G. Castellari a Ruggero Deodato: «Quando incontro i registi italiani per me loro sono delle star: per me sono come eroi del muto, che esistono solo nei film. Incontrarli per me è come andare ad un festa con degli dei». E alla domanda se il suo vero mito sia stato Sergio Leone o Sergio Corbucci ha risposto: «Non posso scegliere, sono due dei miei registi preferiti: il primo ha creato un'epopea gigantesca, il secondo ha offerto una sua visione ed è stato più prolifico. Mi piacciono entrambi».