29 marzo 2024
Aggiornato 14:00
Berlinale

Trionfa il cinema iraniano, Orso d'oro a Nader e Simin

Al film di Farhadi anche l'Orso d'argento per i migliori attori. Prima della consegna dei premi, sul palco sedia vuota con il nome del regista iraniano Jafar Panah

BERLINO - Il cinema iraniano conquista Berlino. L'Orso d'oro della 61esima edizione della Berlinale è andato a «Nader e Simin, una separazione», il quinto lungometraggio di Asghar Farhadi, già vincitore dell'Orso d'argento per la migliore regia, nel 2009, con «A proposito di Elly». Ma «Nader e Simin» ha convinto proprio tutti e il trionfo è stato totale grazie all'attribuzione dell'Orso d'argento anche ai protagonisti maschili e femminili del film, Peyman Moadi, Shahab Hosseini, Sareh Bayat, Leila Hatami e Sarina Farhadi. «Non avrei mai creduto di vincere. E l'ultima volta che ero venuto, non avrei mai creduto che sarei ritornato», ha detto a caldo il regista, dopo avere ricevuto la statuetta.

Il lungometraggio racconta la storia di una coppia in crisi. «Voglio mandare un pensiero al popolo del mio paese, un paese dove sono diventato grande e dove ho conosciuto la storia», ha commentato ancora Farhadi. «In Iran», aveva già spiegato nei giorni scorsi il regista, «una parte della società è molto credente e si attiene a certe regole, ma c'è tutta un'altra parte della società che ha atteggiamenti diversi. L'Iran non è un paese moderno ma la popolazione ha voglia e desiderio di diventare moderna. Uno dei temi chiave del film è la lotta tra tradizione e modernità».

Prima della consegna dei premi, sul palco è stata posta una sedia vuota con un cartello con il nome del regista iraniano Jafar Panahi, assente perché condannato in Iran a otto anni di reclusione e a 20 anni di divieto di esercitare la professione per la sua simpatia nei confronti dei movimenti di opposizione al regime. «Rivolgo un pensiero anche a Jafar Panahi. «Credo davvero che i suoi problemi saranno presto risolti e spero possa venire qui l'anno prossimo», ha aggiunto. D'altra parte sulla condanna a Panahi, Farhadi era già stato molto chiaro nei giorni scorsi. «La prigione significa privazione della libertà. Nessun cineasta può restare indifferente. Per me è anche più triste: lo conosco bene personalmente», aveva detto rendendo omaggio al collega regista.