25 aprile 2024
Aggiornato 03:00
C'è l'ok del Coni

Unicredit tratta per la Roma «straniera»

Petrucci: «Calcio italiano maturo». Alemanno: «Sì, ma sia gente seria». Dal possibile accordo si intravede un periodo di transizione

ROMA - La missione di Unicredit a New York un primo risultato lo ha già centrato. Mentre a Manhattan la trattativa con i possibili investitori statunitensi procede, da quest'altra parte dell'oceano le resistenze e gli scetticismi ad una nuova proprietà straniera sembrano essersi assottigliate. Commentando i colloqui tra l'istituto di credito e la cordata guidata dal 60enne Thomas R. Di Benedetto, il presidente del Coni, Gianni Petrucci, ha definito «maturo» il calcio italiano per l'ingresso di una cordata straniera: «Se dovessero venire degli stranieri il calcio italiano li dovrà accogliere», ha detto Petrucci, «purché siano persone serie. Ben vengano se la banca e i Sensi reputano che abbiano le caratteristiche giuste per investire nel nostro Paese».

Prima dell'avvio dei colloqui con Di Benedetto, imprenditore di origine italiana impegnato in più campi e proprietario di una quota nella società che controlla i Boston Red Sox, il club capitolino nelle ultime stagioni ha più volte visto svanire la possibilità di un passaggio a compratori stranieri. Nomi di vario tipo, dal magnate russo Sulejman Kerimov (Gazprom) a quel Joe Tacopina associato al più noto George Soros, tutti svaniti nel segno dello stesso dubbio: quello di una Roma off limits per investitori non italiani.

E oggi, a quattro giorni dalla scadenza fissata per le offerte vincolanti, il sindaco della capitale è intervenuto più volte (facendo il giro delle radio locali) affermando di non avere preferenze. Che si chiamino Di Benedetto, Giampaolo Angelucci o fondo Aabar poco importa, l'importante - ha detto Alemanno - è che si scelga «il migliore soggetto economico e di credibilità»: «Unicredit è andata negli Stati Uniti a far conoscere la squadra. La conclusione, però, sarà la prossima settimana. Lo sottolineo perché qualcuno pensava che Unicredit fosse andata a vendere e che io volessi promuovere un investitore nazionale. Io non ho preferenze. Devono sapere Unicredit e l'acquirente che c'è un sindaco che guarderà al progetto sportivo perché poi su queste basi si parlerà di stadio e di tante altre cose. Chi prende la Roma non deve fare lo scippo, ma dare un grande futuro alla Roma. Lo stadio? Non mi voglio mettere in mezzo, ma appena avremo nuovo presidente siamo pronti a valutare progetti per costruire solo lo stadio, non altri progetti immobiliari. Questo è il passaggio fondamentale».

Il nome più gettonato, al momento, è quello di Di Benedetto. Nel panorama degli sport americani l'imprenditore, che avrebbe origini abruzzesi, non è una figura di primo piano. Il figlio Tom è semiprofessionista nel baseball e gioca da interbase nel 'singolo A' (la meno importante delle leghe minori) con la squadra affiliata ai Red Sox di Boston, franchigia che ha fatto la storia della Major League Baseball e che da un pezzo è seconda ai soli New York Yankees in quanto a spese folli: nel 2010 il monte ingaggi della squadra di Fenway Park, impianto meraviglioso e forse unico nel panorama mondiale, ha sfiorato i 162 milioni di dollari con una media di 5,6 milioni di biglietti verdi per giocatore. Niente male, anche se i capitali impiegati nel baseball dalla New England Sports Ventures - la società di cui è azionista Di Benedetto - con la questione Roma c'entrano poco. Perché quel poco che filtra del possibile piano industriale di una Roma americana lascia intendere un periodo di transizione: in sostanza, in base ai rumors rimbalzati da New York, Unicredit accompagnerebbe la cordata di Di Benedetto in un periodo di transizione ancora indefinito. E poi perché sul calcio europeo, indebitato fino al collo, incombe la riforma del fair play finanziario voluta dalla Uefa di Michel Platini, che sposterà il baricentro del pallone dalla capacità di indebitarsi alla capacità di progettare e costruire.