20 aprile 2024
Aggiornato 11:30
Malattie del fegato

Epatite C, molti i progressi ma i pazienti ancora da curare sono almeno 330mila

Le stime dell'incidenza dell'epatite C in Italia in un'indagine di EpaC onlus con Tor Vergata ed Eehya del Ceis

Epatite C
Epatite C Foto: onestudio | shutterstock.com Shutterstock

La lotta all’epatite C prosegue. E se gli italiani con diagnosi nota di epatite C e in attesa di essere curati sono nettamente diminuiti, secondo le stime aggiornate di EpaC onlus sono tuttavia ancora circa 200mila i pazienti da indirizzare verso una cura definitiva. A questi vanno sommati altri 100mila pazienti (media 71-130.000) che ancora non hanno scoperto l’infezione (il cosiddetto sommerso).

C’è ancora molto da fare
Le stime di cui sopra sono contenute nell’indagine ‘Epatite C: stima del numero di pazienti con diagnosi nota e non nota residenti in Italia’, realizzata dall’associazione di pazienti EpaC Onlus in collaborazione con il EEHTA del Centro di Studi Economici e internazionali (CEIS) dell’Università Tor Vergata di Roma. Una sintesi dell’indagine, realizzata grazie al contributo incondizionato dell’azienda biofarmaceutica Gilead Sciences, è stata pubblicata oggi sul sito di EpaC e rappresenta un aggiornamento della precedente indagine svolta dell’associazione del 2015. «Le nostre indagini di prevalenza non pretendono di essere l’unico punto di riferimento nazionale sulla quantificazione realistica dei pazienti ancora da curare, ma certamente possono essere messe a confronto con altre stime effettuate con metodi diversi, al fine di offrire ai decisori la possibilità di operare scelte ragionate e definire piani nazionali e regionali di eliminazione di epatite C, così come raccomandato dall’OMS», spiega Ivan Gardini, Presidente di EpaC Onlus. Entrambe le indagini (2015 e 2018) si basano sull’analisi delle informazioni accessibili dei registri regionali sulle esenzioni per patologia applicando successivamente variabili correttive.

Ancora molti i pazienti in attesa di cura
Al 1° Gennaio 2018, la stima del numero di pazienti con diagnosi nota in attesa di essere curati è di circa 240mila. (variazione massima tra 192mila e 311mila pazienti). Al 1° Gennaio 2019 la stima del numero di pazienti con diagnosi nota in attesa di essere curati si prevede sia di circa 160mila (variazione massima tra 159.133 - 170.133 pazienti). A tale quantità i ricercatori sono giunti applicando le variazioni dovute a nuove infezioni, decessi e guarigioni stimate in tutto il 2018. «Conoscere quanti pazienti con HCV devono ancora essere trattati favorisce una programmazione virtuosa ed efficiente, anche dal punto di vista economico e finanziario, incidendo positivamente sulla sostenibilità di sistema – dichiara il Professor Francesco Saverio Mennini, Direttore del CEIS dell’Università Tor Vergata di Roma – Come emerso in un recente studio presentato al convegno ISPOR USA 2018, il trattamento del paziente nella fase precoce della malattia determina un ritorno completo dell’investimento effettuato dopo circa 6 anni ed è plausibile che questo trend prosegua, comportando minori impatti sulla spesa e ritorni ancora più rapidi».

Il problema del sommerso
Oltre alle infezioni note, per la prima volta è stato stimato il numero delle infezioni non ancora diagnosticate e ‘sommerse’, tema non ancora sufficientemente indagato a causa dei pochi studi realizzati, nonostante la sua rilevanza per raggiungere l’obiettivo dell’eliminazione. Visto il crescente numero di pazienti noti ormai a oggi curati (oltre 150mila) diventa fondamentale infatti reperire e analizzare informazioni ‘fresche’ sulla quantità di infezione nascoste da far emergere e trattare. In buona sostanza, e in via prudenziale, l’analisi delle fonti informative prese in considerazione induce ad affermare che i pazienti con infezione non ancora diagnosticata potrebbero essere tra i 71.200 -130.500, di cui la quota principale del sommerso è rappresentata da tossicodipendenti (tra 29mila e 46mila) e da persone over65 (tra 35mila e 57mila) e, in percentuale inferiore, da persone sotto i 65 anni. Per analizzare questo ultimo gruppo sono stati utilizzati i report ISS sulle donazioni di sangue effettuate da cittadini privi di fattori di rischio, per cui esiste la consapevolezza di una possibile sottostima.

Cercare i pazienti
«I risultati di questa nuova indagine – conclude Ivan Gardini – evidenziano e confermano un aspetto sul quale insistiamo da diverso tempo: ormai, la maggior parte dei pazienti da curare vanno cercati in serbatoi al di fuori delle strutture autorizzate, e sono necessari piani di eliminazione regionali in grado di organizzare la presa in carico e l’avvio al trattamento dei pazienti da curare tramite il coinvolgimento di tutti gli stakeholders interessati (carceri, SerD, Medici di Famiglia ecc.) e l’adozione di micro e macro PDTA funzionali a tale obiettivo. Purtroppo, sono ancora troppo poche le Regioni che si stanno organizzando in questa direzione, nonostante vi siano risorse vincolate per l’acquisto di farmaci anti HCV, raccomandazioni dell’OMS, e quantità industriali di studi clinici che evidenziano la necessità di curare tutti i pazienti il prima possibile».