29 marzo 2024
Aggiornato 07:00
Gli esperti sul contagio HIV

Untore HIV ad Ancona, ecco cosa si rischia

Gli esperti della Simit spiegano cosa rischiano tutti con i rapporti non protetti dopo il nuovo caso dell’untore HIV di Ancona

Coppia  - Immagine rappresentativa
Coppia - Immagine rappresentativa Foto: Matyuschenko | shutterstockcom Shutterstock

ANCONA – Ha destato scalpore e allarme il nuovo caso ‘dell’untore dell’Aids’ di Ancona che ha avuto rapporti sessuali senza prendere precauzioni a difesa delle persone che sono state con lui. L’uomo era sieropositivo all’HIV da ben 10 anni ma, a quanto risulta, non si sarebbe dato pena di evitare rapporti. Anzi, avrebbe addirittura minimizzato affermando che «l’HIV non esiste», e che è «una balla». L’uomo ora è stato arrestato dagli agenti della squadra mobile e si trova nel carcere di Ancona.

L’allarme
I rapporti occasionali con persone di cui non si conosce la storia, soprattutto clinica, sono sempre a rischio. Specie poi se non sono protetti per prevenire le malattie a trasmissione sessuale. Ecco perché è allarme, perché oggi sono molte le persone che non prendono sul serio il pericolo che può derivare da questo tipo di rapporti. E a sostenere che è necessario considerare seriamente i rischi è la SIMIT, la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali. «La trasmissione di HIV in Italia non si è mai arrestata. Si stima che ogni anno si verifichi ancora qualche migliaio di nuove infezioni – sottolinea il prof. Massimo Galli, Presidente della SIMIT – In caso di rapporti occasionali non possono pertanto essere dimenticate le adeguate misure di protezione. Il preservativo rimane un presidio di prevenzione fondamentale».

Non è più come una volta
Ribadendo il concetto che i rapporti non protetti sono sempre e comunque a rischio, la condizione epidemiologica attuale, molto diversa da quella di 20-30 anni fa, merita nuovi interventi specifici: «Nelle attività previste dal nuovo Piano Nazionale AIDS è contenuta anche una robusta ripresa dell’attività di prevenzione e sensibilizzazione, mirata alle nuove realtà più a rischio», aggiunge il prof. Galli.

Quanti i contagiati?
Dopo la notizia del nuovo untore, quante potrebbero essere le persone che hanno contratto l’infezione avendo avuto rapporti sessuali non protetti con quest’uomo, che viaggiava in tutta Italia per lavoro? «Per ogni rapporto sessuale non protetto, il rischio che una persona con attiva replicazione del virus lo trasmetta a un’altra persona è stimato attorno all’1% – fa notare il prof. Galli – Questo rischio aumenta o diminuisce a seconda di diverse variabili, quali la quantità di virus, ossia della carica virale della persona infetta o la presenza di fenomeni facilitanti nella persona suscettibile dell’infezione, come infiammazioni degli organi riproduttivi. Il rapporto anale, ad esempio, prevede un maggior rischio di trasmissione per singola esposizione. Conta anche, ovviamente, la quantità di rapporti. Il partner ricettivo, cioè in un rapporto eterosessuale, la donna, è a rischio più elevato, poiché in una singola eiaculazione la quantità totale di virus presente nel liquido seminale è maggiore di quella presente nel secreto vaginale». Per quanto l’efficienza di trasmissione del virus sia dunque abbastanza bassa, questo non permette di abbassare la guardia, dichiarano gli esperti.

La profilassi dopo l’esposizione al rischio
«Nell’immediato è importante che le persone che abbiano avuto un rapporto nelle ultime 24-48 ore contattino lo specialista infettivologo di riferimento per eventualmente iniziare la profilassi post esposizione – spiega il dottor Marcello Tavio, Vice Presidente SIMIT e Direttore della UOC di Malattie Infettive dell’Azienda ospedaliero universitaria ‘Ospedali Riuniti’ di Ancona – Si tratta di un cocktail farmacologico che viene somministrato alla persona a rischio e che è in grado di ridurre notevolmente la percentuale di trasmissione del virus. Superate le 48 ore, le persone che hanno avuto rapporti che possono essere considerati a rischio devono rivolgersi a un centro competente e sottoporsi a un colloquio, a seguito del quale devono eseguire il test, inizio di un periodo più o meno lungo di controlli. Nel caso in cui si riscontri l’infezione da HIV, non si tratta affatto di una sentenza di morte: la persona può essere curata tempestivamente e con ottima tolleranza, avendo delle aspettative di vita pari alla popolazione generale se la terapia viene iniziata in tempi utili. La malattia dunque si controlla e si impedisce un’evoluzione sfavorevole».

Monitorare sempre la propria situazione
Dopo questa prima necessaria fase, è fondamentale tenersi sotto controllo. «L’importante è monitorare con i test necessari la propria situazione – prosegue Marcello Tavio – Non bisogna farsi ingannare dai falsi profeti che diffondono teorie pericolose come quelle che negano che l’HIV sia la causa dell’AIDS. Sono teorie mortifere che fanno del male alle persone. In caso di dubbio, bisogna rivolgersi allo specialista per ottenere ogni chiarimento. Le conseguenze di una cattiva informazione possono essere disastrose».

In attesa del vaccino
A oggi, sono numerose le manifestazioni scientifiche e le occasioni di confronto con la volontà di creare cultura, educare, informare e prevenire. Tra queste, ICAR (Italian Conference on AIDS and Antiviral Research), Congresso di cui si è tenuta la X edizione a Roma lo scorso mese di maggio, con oltre 1.300 partecipanti, di cui circa 900 specialisti italiani e stranieri, oltre a rappresentanti del mondo delle istituzioni, dell’Aifa e del mondo delle Community. Tra i suoi scopi, proprio la costruzione di una consapevolezza del rischio e la diffusione di una corretta informazione nella società, con particolare attenzione ai giovani, ancora poco coscienti dei pericoli quotidiani e dei rapporti occasionali. Con le terapie disponibili, che vanno assunte per tutta la vita, la malattia oggi cronicizza, è bene sottolinearlo, ma il virus non viene eradicato né esiste ancora un vaccino preventivo. L’unica arma, rimane dunque la prevenzione.