29 marzo 2024
Aggiornato 07:30
CAR-T

Leucemia, per la prima volta in Italia un bambino salvato grazie alla tecnica CAR-T

Il primo bambino in Italia salvato da una grave forma di leucemia che è stato salvato grazie alla tecnica CAR-T

La terapia genica va avanti più spedita che mai e in pochi anni sono stati messi in commercio farmaci sempre più tecnologici. A salvare un bambino di soli 4 anni, è stato un rimedio basato sulla tecnica CAR-T Cell. Un medicinale che, al momento, è uno dei più avanzati ed efficaci e che sfrutta il taglia e copia del DNA, ovvero la CRISP CAS9. Il farmaco, che ha già riscosso un grande successo all’estero, ha ridato la speranza a un bambino a cui non avevano dato alcuna possibilità di guarigione.

La tecnica CART-T Cell
L’innovativa tecnica CAR-T cell è stata autorizzata solo pochi mesi da dall’FDA e già ha dato i suoi frutti. Proprio oggi, infatti, nel New England Journal of Medicine sono stati pubblicati gli ottimi risultati ottenuti su 75 pazienti. La sua efficacia è data dalla possibilità di personalizzare la cura e renderla così totalmente mirata a seconda del paziente. Il metodo è molto semplice: si prelevano i linfociti della persona affetta da leucemia, dopodiché questi vengono alterati in laboratorio grazie all’utilizzo di virus appositamente modificato allo scopo di avere recettori che colpiscono gli antigeni antitumorali. Una volta «armate» le cellule del paziente – che ora prendono il nome di Chimeric antigen receptor (CART-T) vengono re-infuse nella stessa persona. In breve tempo i suoi linfociti killer si replicano ed eliminano le cellule tumorali.

Il primo (piccolo) paziente
Al Bambin Gesù di Roma, hanno testato con successo la terapia CAR-T su un bambino di soli 4 anni. Purtroppo, le attuali terapie non avevano sortito nessun effetto e aveva già manifestato due ricadute – sia dopo la chemioterapia che dopo il trapianto di midollo. Per fortuna, ha avuto la possibilità di accedere a uno studio accademico promosso dal ministero della Salute, dalla Regione Lazio e dall’AIRC. «Non erano più disponibili altre terapie potenzialmente in grado di determinare una guarigione definitiva. Qualsiasi altro trattamento chemioterapico avrebbe avuto solo un’efficacia transitoria o addirittura un valore palliativo», spiega Franco Locatelli, direttore del dipartimento di Onco-Ematologia Pediatrica, Terapia Cellulare e Genica del Bambin Gesù.

I primi risultati
Oggi è passato già un mese dall’infusione di cellule CAR-T e il piccolo paziente ora gode di ottima salute, motivo per il quale – finalmente dopo tanto tempo – è stato dimesso. Da una prima analisi risulta che delle cellule leucemiche non c’è più alcuna traccia. «Grazie all’infusione dei linfociti T modificati, invece, il bambino oggi sta bene ed è stato dimesso. È ancora troppo presto per avere la certezza della guarigione, ma il paziente è in remissione: non ha più cellule leucemiche nel midollo. Per noi è motivo di grande gioia, oltre che di fiducia e di soddisfazione per l’efficacia della terapia. Abbiamo già altri pazienti candidati a questo trattamento sperimentale», continua Locatelli.

Una sequenza genica diversa
E’ importante sottolineare che c’è una lieve differenza tra le terapia per la leucemia testista negli Stati Uniti e quella italiana. Quella effettuata al Bambino Gesù, infatti, ha sfruttato anche una sequenza genica che prevede l’aggiunta della Caspasi 9 Inducibile (iC9). Questo può essere considerata una sorta di gene suicida che, in caso di eventi avversi, si attiva e blocca l’azione dei linfociti modificati. Il sistema è stato reso possibile grazie alla collaborazione con la Bellicum Pharmaceuticals. L’idea è quella di bloccare la comparsa di eventuali effetti collaterali gravi qualora si presentassero.

La produzione
Il processo di modifica delle cellule del paziente avviene all’interno dell’Officina Farmaceutica (Cell Factory) del Bambino Gesù - autorizzata dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). Per produrre il farmaco biologico servono circa quindi giorni. Poi, però, ne sono necessari altri 10 per effettuare i test di sicurezza. In totale, quasi un mese per avere a disposizione la cura che verrà poi somministrata in un’unica infusione per via endovenosa.

Un trattamento straordinario
«Lo studio fornisce un'ulteriore prova di quanto questo trattamento può essere straordinario per i giovani pazienti sui quali tutti gli altri approcci hanno fallito. I nostri dati indicano che non solo possiamo ottenere una remissione duratura e una sopravvivenza a lungo termine per i nostri pazienti, ma che queste cellule personalizzate e antitumorali possono rimanere nell’organismo per mesi o anche anni, continuando a fare il loro lavoro efficacemente», ha dichiarato Shannon L. Maude, oncologa pediatra al Children's Hospital di Philadelphia e assistant professor di pediatria all'Università della Pennsylvania.

I primi risultati negli Stati Uniti
Oggi sono stati riportati sul New England Journal of Medicine i risultati di un medicinale preparato con la tecnica CAR-T per tutte le persone affette da leucemia linfoblastica. Il farmaco di nome tisagenlecleucel è stato prodotto da Novartis e ha portato a una remissione duratura del cancro con una sopravvivenza a lungo termine. Si tratta del primo trattamento al mondo approvato dall’FDA americana studiato per tutti i pazienti che non rispondono alle cure tradizionali. I pazienti, dopo la singola infusione, hanno dimostrato di avere cellule CAR-T attive anche dopo due anni.

Ulteriori sperimentazioni
«L’infusione di linfociti geneticamente modificati per essere reindirizzati con precisione verso il bersaglio tumorale rappresenta un approccio innovativo alla cura delle neoplasie e carico di prospettive incoraggianti. Certamente siamo in una fase ancora preliminare, che ci obbliga ad esprimerci con cautela. A livello internazionale sono già avviate importanti sperimentazioni da parte di industrie farmaceutiche. Ci conforta poter contribuire allo sviluppo di queste terapie anche nel nostro Paese e immaginare di avere a disposizione un’arma in più da adottare a vantaggio di quei pazienti che hanno fallito i trattamenti convenzionali o che per varie ragioni non possono avere accesso ad una procedura trapiantologica», conclude Locatelli.

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