24 aprile 2024
Aggiornato 17:30
Neonato zittito con la morfina a Verona

Morfina a un neonato: chi è l’infermiera e perché l’ha fatto

Si chiama Federica Vecchini, l’infermiera 43enne, accusata di aver somministrato morfina a un neonato per ‘zittirlo’, che gli ha causato un arresto respiratorio. Ora in carcere, è descritta dai colleghi come «amante dei bambini»

Verona, la polizia all'ospedale della morfina al neonato
Verona, la polizia all'ospedale della morfina al neonato Foto: ANSA | FRAME VIDEO POLIZIA DI STATO ANSA

VERONA – La notizia è rimbalzata violentemente su tutti i media: un neonato sano è stato vittima di un arresto respiratorio perché gli è stata data arbitrariamente della morfina, pare per farlo ‘stare tranquillo’. A compiere il gesto nella notte tra il 19 e il 20 marzo scorso sarebbe stata Federica Vecchini, infermiera presso il reparto di pediatria neonatale del policlinico di Borgo Roma, a Verona. La donna, in servizio da circa vent’anni, è stata descritta dai colleghi: «brava, competente, molto esperta e amante dei bambini». Ed è anche lei stessa madre premurosa di tre bambini piccoli. Ma allora perché questo gesto?

Per ora è in carcere
Federica Vecchini ora si trova agli arresti nel carcere di Montorio con l’accusa, sostenuta dal sostituto procuratore Elvira Vitulli, con l’accusa di lesioni aggravate e cessione di sostanza stupefacente, per aver provocato un’overdose di morfina a un neonato di un mese di vita. Il piccolo, nato prematuro, era però in dimissione il giorno dopo, perché stava bene. Solo che, a detta di una collega della Vecchini, non smetteva di piangere. Anzi, era «rognoso», secondo quanto avrebbe detto quella notte la Vecchini. «Mi ha detto ‘è rognoso, così gli ho dato il ciuccio’», riferisce la collega. Gli investigatori fanno tuttavia sapere che l’infermiera sotto accusa finora non ha ammesso nulla, ma alcuni fatti circostanziati la indicherebbero come responsabile dell’accaduto. Per esempio, in quel turno di notte c’erano solo due infermiere ad accudire il neonato, di cui una era la Vecchini. La collega avrebbe poi lasciato sola la Vecchini, per pochi minuti, verso le ore 21:00. Al suo ritorno, l’accusata sarebbe stata trovata con il neonato in braccio e il ciuccio in bocca – che si sospetta fosse ‘imbevuto’ di morfina. Poi, l’unica infermiera che aveva movimentato la morfina, che doveva essere somministrata a un altro piccolo paziente, quella sera era stata proprio la Vecchini, e sempre lei durante la crisi respiratoria avrebbe indicato il dosaggio dell’antagonista della morfina e la fisiologica, con l’esatto dosaggio di entrambi – che sarebbe stato risolutivo. Un’altra collega ha dichiarato che la Vecchini avrebbe detto di aver usato la morfina anche in passato: «Io a volte uso la morfina o la benzodiazepina, per farli stare tranquilli. Anche senza prescrizione», avrebbe confessato alla collega la Vecchini. Ora si sta indagando se ci siano stati dei precedenti.

Cosa è accaduto e la professione di innocenza
La ricostruzione dei fatti ha potuto accertare che quella notte il neonato è stato colpito da una improvvisa crisi respiratoria, apparentemente senza motivo. La crisi è apparsa subito così grave che si è pensato a una crisi epilettica. Pare che uno dei due medici presenti abbia filmato con il telefonino quanto stava succedendo, per poi mandare il video al collega neurologo per avere un parere urgente. Quando la Vecchini si è probabilmente resa conto di quanto stava accadendo, ha detto che bisognava somministrare al piccolo il Naloxone, che un farmaco antagonista della morfina: «Fagli 0,5 più soluzione fisiologica», avrebbe ordinato. Guarda caso, il neonato ha subito reagito positivamente. E la crisi si è risolta, dato che ha iniziato a respirare da solo. Durante l’interrogatorio, però, la Vecchini avrebbe negato quanto attribuitole: «Io? Ma non sono stata io a dare quell’indicazione, sarà stato l’altro medico, se non la dottoressa», avrebbe detto. Solo che le testimonianze della collega e dei due medici presenti ai fatti concordano sul fatto che sia stata lei a dare l’indicazione terapeutica d’emergenza. Infine, durante un colloquio con l’avvocato avrebbe detto: «Ho pensato a quel farmaco perché ho subito riconosciuto i sintomi. Faccio da vent’anni questo lavoro, ho una grande esperienza. E tutti i miei colleghi hanno rimarcato la mia affidabilità dal punto di vista professionale», confermando dunque di aver suggerito la terapia d’emergenza, ma negando ogni altro addebito, ossia di aver causato lei la crisi respiratoria da overdose di morfina.