24 aprile 2024
Aggiornato 08:30
L'intervista

Gemmato: «Ecco perché in Italia la campagna vaccinale va troppo a rilento»

L'onorevole Marcello Gemmato, responsabile del dipartimento Sanità di Fratelli d'Italia, presenta al DiariodelWeb.it il piano vaccinale elaborato dal suo partito

Marcello Gemmato, farmacista, deputato e responsabile del dipartimento Sanità di Fratelli d'Italia
Marcello Gemmato, farmacista, deputato e responsabile del dipartimento Sanità di Fratelli d'Italia Foto: Riccardo Antimiani ANSA

Procede tuttora troppo a rilento, tra ritardi negli approvvigionamenti ma anche inefficienze logistiche e gestionali, la campagna vaccinale in Italia. Serve un'accelerazione per uscire al più presto dall'incubo della pandemia. E proprio a tal fine si è mosso il partito di Fratelli d'Italia, che ha elaborato e recentemente presentato in una conferenza stampa un piano vaccinale di cinquanta pagine, pieno di proposte concrete. Lo ha illustrato al DiariodelWeb.it l'onorevole Marcello Gemmato, farmacista, deputato e responsabile del dipartimento Sanità di Fdi.

Onorevole Marcello Gemmato, come nasce il piano vaccinale di Fratelli d'Italia?
Da un lavoro svolto dal dipartimento Sanità del partito, che io presiedo. Al suo interno ci sono sia politici, da consiglieri regionali a presidenti di commissione, che più in generale professionisti della sanità: professori ordinari, primari, medici e farmacisti. Tutti loro hanno contribuito alla redazione del piano.

E quali sono stati i vostri interlocutori?
Ci siamo interfacciati sia con tutti gli ordini professionali che con i vertici delle industrie farmaceutiche. E, soprattutto, con i Paesi che hanno tenuto delle buone pratiche, in primis Israele, da cui abbiamo cercato di trarre ispirazioni.

Che cosa avete scoperto con questo vostro lavoro di ricerca? Nello specifico, perché la campagna vaccinale in Italia procede così a rilento?
Qualsiasi piano vaccinale ha ragione di esistere se ci sono i vaccini, e noi oggi purtroppo non li abbiamo. Il motivo è che abbiamo perseguito, in modo poco lungimirante, la linea dell'acquisto unico tramite le centrali europee. Questo ci ha portato fuori dal mercato libero, a differenza di Paesi come Israele, Inghilterra, Serbia... Loro hanno potuto acquistare milioni di vaccini e, non a caso, sono ai primi posti per inoculazioni. Tanto che oggi anche Germania e Austria stanno cercando di svincolarsi. Questo è il problema cardine, che fa ricadere una forte responsabilità sulle scelte politiche.

Ora come si potrebbe risolvere questa situazione?
Noi abbiamo proposto, già da tempo, che tutti i vaccini extra Ue possano essere immessi in commercio per via abbreviata: penso prima di tutto allo Sputnik russo. La legge prevede che, in casi di straordinarietà, si può derogare all'autorizzazione dell'Aifa o dell'Ema: come è stato fatto, ad esempio, per gli anticorpi monoclonali.

Questo per quanto riguarda l'approvvigionamento dei vaccini. E per la gestione logistica?
Seguiamo il modello israeliano. Il primo punto è: «No carta, no penna», ovvero, tutto deve essere digitalizzato. Quando le mie figlie hanno fatto il vaccino, è stato trascritto su un foglietto di carta. Invece, se avessimo il famoso fascicolo sanitario elettronico, che purtroppo non è ancora in funzione, basterebbe un clic per sapere quali vaccini si è ricevuto, in qualsiasi luogo d'Italia. Con il risultato che si potrebbe facilmente offrire anche alle persone che non sono nelle liste prioritarie le eventuali dosi avanzate a fine giornata, tramite una semplice app. Evitando le scene ignominiose a cui assistiamo in questo periodo, con gli amici degli amici che saltano la fila.

Il secondo punto qual è?
Aumentare la platea dei vaccinatori. Il ministro Speranza, intervenuto in commissione Sanità, ci ha detto che nel secondo semestre saranno disponibili cinquanta milioni di vaccini. Ma ad oggi non abbiamo sufficienti inoculatori. In Israele hanno messo a vaccinare, sotto supervisione medica, tutti gli operatori sanitari: medici di base, infermieri, farmacisti, odontoiatri, Croce Rossa, sanitari militari. Ma lontano dagli ospedali: sia per decongestionarli, sia perché le stesse strutture pubbliche possono essere fonte di contagio. Si possono usare i parcheggi, i palasport, le palestre, le zone esterne degli ipermercati, ma anche la rete delle ventimila farmacie, private e pubbliche.

In effetti, è stato approvato un emendamento alla legge di Bilancio che prevede che anche i farmacisti possano vaccinare, sotto supervisione medica.
Sì, ma purtroppo questa legge, dopo tre mesi, non ha ancora avuto una declinazione pratica. Mancano i decreti attuativi e, soprattutto, le trattative sindacali in tutti e venti i sistemi sanitari regionali. Se avessimo già attrezzato protocolli, buone pratiche e accordi economici con le farmacie, oggi saremmo già pronti. Dovremmo avere la fermezza di cavalcare il virus, invece di inseguirlo.

Che cosa pensa dell'iniziativa del ministro Giorgetti a favore della produzione di vaccini in Italia?
È un'iniziativa giusta, ma tardiva. Il 30 gennaio dell'anno scorso, quando il ministro Speranza intervenne in aula, io stesso evidenziai che, nonostante noi siamo la prima nazione per industria farmaceutica in Europa, le linee di produzione vaccinale ora in Italia non esistono più. Non solo per i vaccini contro il coronavirus, ma nemmeno per i normali antinfluenzali. Purtroppo, dal momento in cui ci si inizia ad attrezzare, ci vogliono sei mesi-un anno per avere i primi vaccini. Quindi non potremo compendiare l'attuale momento di difficoltà. Ma siccome pare che ci dovremo vaccinare ogni anno sulle varianti, o potremo essere aggrediti da virus nuovi, avere una linea di produzione nazionale è giusto. Sia finanziando l'industria privata, ma anche attrezzando l'Istituto chimico-farmaceutico militare di Firenze, che è pubblico.