Luoghi abbandonati: la pagina Facebook che racconta una parte d’Italia
In questo angolo social vengono periodicamente pubblicati degli interessanti album di scatti che riscoprono varie realtà dimenticate del Nord-est
VERONA – Noia, nausea e rabbia dovuta alle banalità da Facebook: l’ipotesi di abbandonare il social network più diffuso del mondo è una tentazione che di tanto in tanto si affaccia, ogni volta sempre più forte di quella precedente. Poi, però, la voglia di mollare rientra quando ci si imbatte puntualmente in pagine molto interessanti come Luoghi abbandonati: quattro amici veneti pubblicano qui le loro scoperte, con fotografie suggestive che raccontano uno spaccato d’Italia da rivivere col piacere della nostalgia e la rabbia del degrado.
Come nasce il progetto – «Tutto nasce nel settembre 2015 grazie a un corso di fotografia che ci ha fatto conoscere» ci spiega Andrea, amministratore della pagina Luoghi abbandonati. Insieme a Monica, Marco e Stefano, inizia quasi per gioco a immortalare palazzi e stabili caduti nel degrado: «Abbiamo cominciato con l’esplorare il sanatorio Grola proprio qui in provincia di Verona»: con la struttura che si trova a Sant’Ambrogio di Valpolicella – sezione distaccata del Sanatorio Popolare di Ponton (entrambi nel Comune di Sant'Ambrogio di Valpolicella ed istituiti dalla Provincia di Verona nel 1918) – è iniziata così l’avventura di Luoghi abbandonati che oggi conta oltre 38mila affezionati sostenitori.
La fabbrica Bugatti – Tra le storie più nostalgiche, c’è quella riguardante lo stabilimento della Bugatti. La Fabbrica Blu di Campogalliano ha avuto vita breve, svolgendo l’attività dal 1985 al 1995, nel solco di una tradizione automobilistica partita in Francia – per volontà dell’emigrato italiano Ettore Bugatti – nel 1909. Un elenco telefonico della Sip di Mantova del 1993/94; il banco prova dei motori per testare le emissioni; gli ascensori che da un momento all’altro potrebbero aprire le porte a un dirigente vestito con l’outfit di vent’anni fa: sono molti i particolari che fanno riportare indietro le lancette dell’orologio. In questo stabile prendeva forma la supercar EB110 – vero cavallo di battaglia – la prima ad utilizzare il telaio in carbonio con prestazioni super e prezzo esagerato anche per l’epoca. Un ex dipendente ha raccontato ai fotografi come solo il 15 settembre del 1990 venne inaugurata la Fabbrica Blu, «ma nell'ottobre del 1995 vennero posti i sigilli fallimentari dal tribunale di Modena e da quel giorno restammo tutti a casa». E così, oggi, la Bugatti fa parte del gruppo tedesco del gruppo tedesco Volkswagen Aktiengesellschaft.
Dal Veneto alle altre regioni – «Per noi – racconta ancora Andrea – questa è una passione e da quel giorno abbiamo iniziato a visitare posti in Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Trentino Alto Adige». Nessun dubbio su quali siano stati i posti più singolari fotografati: «I manicomi sono le strutture che ci hanno incuriosito maggiormente. Siamo stati nelle strutture abbandonate di Milano, Rovigo, Vercelli, Volterra e Parma. Oltre ad essere luoghi molto particolari, all'interno abbiamo trovato documenti e cartelle cliniche di pazienti vissuti un centinaio di anni fa».
L’Italcementi di Alzano Lombardo – Nel viaggio tra gli stabili ormai dimenticati, è interessante scoprire il volto di palazzi o ville che magari molti italiani guardano solo velocemente dalla macchina, viaggiando nelle strade che li costeggiano. Non solo: queste raccolte fotografiche raccontano in maniera spietata il declino economico e sociale di un’Italia che fino a qualche decennio fa era una potenza economica di tutto rispetto. È il caso del cementificio di Alzano Lombardo, avviato – come si legge negli album della pagina Facebook – nel 1878 dai Fratelli Pesenti, tramite il riadattamento di una cartiera. Acquistato verso la metà del Novecento dall’Italcementi, il cementificio venne dismesso negli anni Settanta per perdita di capacità tecnologica e per il fatto che gli spazi non hanno permesso un insediamento di nuove attività (lo spegnimento dei forni avvenne nel 1966 e fino al 1971 nel cementifico si svolgevano esclusivamente lavori di macinazione del cemento che poi chiuse definitivamente i suoi battenti, e spogliato di ogni attrezzatura ed accessorio metallico nel 1973, per volontà della proprietà vendendo a peso di rottame gli attrezzi che per decenni lo avevano reso un colosso mondiale.) La struttura fu sottoposta a vincolo di tutela nel 1980, come monumento di archeologia industriale, dal Ministero per i Beni Culturali che gli riconobbe un valore «estremamente importante di testimonianza fisica». Esso, infatti, fu edificato con l’impiego quasi esclusivo delle stesse materie che lì si producevano: cemento bianco, grigio, le tre varietà di Portland e cemento Grenoble a pronta presa.
A breve una mostra? – «Di progetti fotografici ce ne sono molti – sottolinea Andrea – questa passione ci permette di immergerci in qualcosa di diverso da ciò che svolgiamo a livello professionale durante la settimana». E così, due volte al mese la squadra si riunisce per andare a raccontare nuove realtà dimenticate, trovate attraverso ricerche su internet oppure segnalate da utenti sui social network. «La speranza – conclude Andrea – è quella di allestire presto una mostra fotografica con le nostre foto».
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