24 aprile 2024
Aggiornato 18:00
Entrambi in visita a campi nomadi romani

Salvini e Bertolaso partono dai rom. Ma in mezzo c'è un abisso di incognite

Da un capo all'altro della città, Matteo Salvini e Guido Bertolaso (accompagnato da Giorgia Meloni) visitano campi nomadi della Capitale, promettendo ricette apparentemente simili. Ma in mezzo rimane un abisso di incognite: e intanto la Lega si prepara, nel weekend, a dare la parola ai romani

ROMA - La visita di stamane del segretario della Lega Nord Matteo Salvini al campo nomadi romano di via Salviati è particolarmente significativa. Non solo per il tema, tradizionalmente caro al leader del Carroccio dai tempi in cui ha invocato per la prima volta le «ruspe»; ma soprattutto per la tempistica assolutamente non casuale in cui è giunta: a qualche giorno di distanza dalla famigerata frase sui rom come «minoranza vessata» malauguratamente pronunciata dal(l'ex?) candidato sindaco per il centrodestra Guido Bertolaso. Quella frase, poi inutilmente rimangiata, non è andata giù a Salvini. Che non a caso ha deciso di fare dietrofront e chiamare i romani a una consultazione pubblica per individuare il candidato sindaco, attirandosi le ire di Giorgia Meloni. Così, la sua visita a quel campi rom romano, peraltro accolta dallo striscione «Benvenuto Matteo», è parte di una strategia precisa: si potrebbe dire che è la prima tappa di una campagna elettorale che si rivela estremamente difficile.

Il blitz di Bertolaso
Certo, fare campagna senza il candidato sindaco è cosa tutt'altro che facile. E' andata meglio a Giorgia Meloni, che nei giorni scorsi ha blindato Bertolaso, addirittura sventolando la minaccia della rottura dell'alleanza con la Lega. Così, anche la leader di Fratelli d'Italia e l'ex capo della Protezione Civile hanno fatto visita a un campo nomadi alla Montagnola, in un degradato quartiere di Roma Sud. La «caccia» è stata ai mercatini abusivi gestiti dai nomadi, quelli che il prefetto Tronca, commissario del Campidoglio, vorrebbe legalizzare. Così, da una parte della città Salvini si è chiesto: «Non può esistere una realtà come questa in una città normale, come è possibile crescere i bambini così?», per poi osservare: "Qui di regolare non c'è nulla. O si mette in regola o io in sei mesi questo campo lo spiano». Dall'altra parte della Capitale, Bertolaso ha promesso: «Se avrò il privilegio di fare il sindaco, queste cose non le vedrete più». Le ricette sembrano simili, i percorsi pure: ma in mezzo rimane un abisso politico che sembra sempre più difficile colmare.

La consultazione della Lega
Lo dimostra la dichiarazione di Salvini a La Zanzara: «Il candidato a Roma? Non l’ho capito, non si sa, a me non lo ordina il medico di appoggiare uno che dice certe cose sui rom. Io voglio abbattere i campi rom, come fa Bertolaso ad amministrare con la Lega?». Perché in politica le parole, si sa, contano anche più dei fatti, e quelle maledette parole di Bertolaso sui rom rimarranno un marchio indelebile: non c'è smentita che tenga. Così, tra un blitz e l'altro nei campi rom, quello che regna nel centrodestra è il caos. Salvini spera di dirimerlo con le consultazioni che si terranno sabato e domenica: in quell'occasione, i romani saranno chiamati a dire la loro sul candidato sindaco che vorrebbero li rappresentasse. Eppure, quella mossa sembra per ora aggiungere tensione alla tensione: «Non si capisce bene cosa voglia fare», ha commentato la Meloni a Un giorno da pecora su Rai Radio2. «Ma le primarie sono un’altra cosa. Ho detto a Salvini che ero anche disponibile a fare in tutta Italia ed insieme, è curioso che li faccia solo a Roma e per di più da solo. Se le primarie non le vuole nessuno, perché quelli che dicono di non volerle poi le fanno?».

Incognite
Primarie o no, di certo la decisione di Salvini è rischiosa. Perché se poi i romani sceglieranno Alfio Marchini, candidato su cui pesa il veto di Fratelli d'Italia, le conseguenze politiche saranno rilevanti. A quel punto, la rottura sventolata dalla Meloni non sarebbe più un'eventualità. E le ripercussioni si sentirebbero anche a livello nazionale, dove è in corso un processo di paziente quanto difficoltosa ricostruzione del centrodestra. Il risultato è che sono scontenti tutti: la base elettorale, che, come i sondaggi indicano chiaramente, non si sente rappresentata da Bertolaso, e i vertici, che continuano a correre scompostamente da soli in una battaglia che avrebbe richiesto, più di ogni altra, compattezza. Perché Roma è sì una città difficile da governare, al punto che qualcuno, come la Taverna, potrebbe sospettare che i partiti preferiscano lasciare l'ingrato compito al Movimento Cinque Stelle; ma è pur sempre la Capitale, il più naturale trampolino di lancio per sedersi poi sulla poltrona di Palazzo Chigi. E la domanda che sorge spontanea è: se il centrodestra non è in grado di mettersi d'accordo su Roma, come potrà farlo un domani quando in ballo ci sarà l'Italia?