27 aprile 2024
Aggiornato 01:30
Ballottaggi a Milano e Napoli

Bersani ottimista, ma se vince non chiede ora X per il Governo

D'Alema «battezza» l'alleanza con Casini partendo da Macerata

ROMA - Pier Luigi Bersani è ottimista sull'esito dei ballottaggi a Milano e Napoli. Stavolta sembra davvero che il «vento stia cambiando» e che sia favorevole al Pd ma per il segretario questo non significa automaticamente chiedere le dimissioni del governo. «Non chiedo l'ora X», ha ripetuto in molti comizi fatti in giro per l'Italia. Anche se è innegabile che le difficoltà del centrodestra, dentro il Pdl e nel rapporto con la Lega, emerse proprio a causa dei risultati deludenti alle amministrative, potrebbero aprire nuovi scenari per il governo a partire da lunedì prossimo, il segretario preferisce rimanere sulla sua linea «si vota per eleggere i sindaci di Milano e Napoli».
Una linea che però non sembra coincidere esattamente con il pensiero di Massimo D'Alema che solo pochi giorni fa ha parlato esplicitamente di «significato nazionale per il voto» auspicando la creazione di un «governo per le regole» che metta mano alla riforma elettorale prima di tornare alle elezioni. L'ex premier non è stato neanche l'unico a evocare questo scenario, anche Anna Finocchiaro proprio l'altro ieri ha scandito che «in caso di sconfitta Berlusconi dovrebbe dimettersi» perchè «è stato lui a politicizzare il voto».

Ma le distinzioni dentro il Pd resteranno sotto traccia fino a quando non si chiuderanno le urne e si sarà fatta l'analisi dei consensi raccolti (è prevista una direzione nazionale il 6 giugno). Fino ai ballottaggi, infatti, anche la minoranza interna ha scelto di tacere e di aspettare a rivendicare quel cambio di linea chiesta a più riprese nel corso di questi mesi. Veltroni e Fioroni si sono impegnati, insieme a tutti gli altri dirigenti del Pd, nella campagna elettorale e hanno addirittura festeggiato con Bersani i risultati del primo turno nel coordinamento di martedì 10. Ma sono discussioni solo rinviate, appunto, troppi i temi che torneranno al centro del dibattito interno a partire dalla prossima settimana. Primo fra tutti quello delle alleanze. Gli ex Ppi ad esempio, nonostante l'ottimismo per l'esito elettorale, sono convinti che l'eventuale sconfitta di Berlusconi non deve far dimenticare che «anche nel 2005 vincemmo ovunque le regionali e poi nel 2006 ce la facemmo per 24mila voti». Insomma, sarebbe un errore convincersi di avere vinto anche le elezioni politiche. «E stavolta non c'è Prodi e nemmeno la Margherita ad evitare di presentarsi con una coalizione che può sembrare della sinistra radicale». Il timore è quindi «che si dica 'si vince con Pisapia, de Magistris, etc... e quindi non c'è bisogno né dei cattolici, né dei moderati'».

L'affermazione a Milano e a Napoli di due candidati esterni al partito ed espressione di Idv e Sel ha infatti alimentato le argomentazioni di chi, da un lato, vorrebbe riproporre una coalizione più spostata a sinistra, dall'altro di chi invece pensa che vada assolutamente incrementato il rapporto con i moderati di Casini. A questa schiera appartiene da sempre, come è noto, D'Alema che non a caso ha scelto di chiudere la campagna elettorale salendo per la prima volta sul palco insieme al leader dell'Udc a Macerata, nelle Marche la regione 'laboratorio' dell'alleanza tra moderati e progressisti.

L'altro tema «caldo» che tornerà a tenere banco nel Pd è quello della leadership e dei modi per selezionarla. Vendola, che è riuscito a imporre un suo candidato non solo a Milano, con Pisapia, ma anche a Cagliari, con Zedda, ha già rilanciato la richiesta delle primarie. Ma Bersani, pur mettendo davanti alle sue ambizioni personali la causa della coalizione, ha fatto sapere che anche lui è in campo per la guida del nuovo centrosinistra.