29 marzo 2024
Aggiornato 06:30
Bersani: «Noi abbiamo vinto, loro hanno perso»

Il Pd canta vittoria mentre scricchiola l'asse Pdl-Lega

Presto la verifica in maggioranza. La Lega avverte: «prima i ballottaggi»

ROMA - «Noi abbiamo vinto e loro hanno perso». E' tutto in questa frase del segretario del Pd, Pierluigi Bersani, il senso delle elezioni amministrative di questo week end. Le letture dei dati elettorali definitivi sono molteplici, primo fra tutti quello dell'astensione, oltre il 30%, ma i numeri parlano chiaro: nelle quattro città simbolo, dove la campagna elettorale è stata più aspra, è finita con due sindaci al Pd (Piero Fassino a Torino e Virginio Merola a Bologna) e due ballottaggi (Gianni Lettieri contro Luigi De Magistris a Napoli e Giuliano Pisapia contro Letizia Moratti a Milano). E' però il voto della Madonnina che lascia il segno più profondo: il candidato di Sel, Giuliano Pisapia, ha battuto Letizia Moratti di oltre 6 punti percentuali e questo risultato, «inatteso» secondo il coordinatore del Pdl, Denis Verdini, fa scricchiolare l'alleanza di governo Pdl-Lega.

E' infatti nel gioco dei rinfacci che si sostanzia l'apparente rottura nella coalizione che regge il governo nazionale. Umberto Bossi, chiuso fino a tarda serata in via Bellerio con i suoi, ha fatto trapelare molta «irritazione» e «rabbia», oltre che «imbarazzo» per il risultato della Moratti, bollando il sindaco uscente come «candidato sbagliato». Berlusconi, dal canto suo, sarebbe invece «infuriato» e, con i suoi, avrebbe sparato a palle incatenate sugli alleati, arrivando a sostenere, ma si tratta di indiscrezioni, che «è colpa della Lega» se la partita milanese è andata diversamente dalle previsioni. Resa dei conti comunque rimandata a dopo il ballottaggio, almeno per il Carroccio: Roberto Castelli e Roberto Calderoli hanno parlato ieri sera e annunciato che il voto di Milano è significativo. «Ma non tutto è perduto». «Di sicuro», hanno detto, «non possiamo lasciare Milano agli estremisti di sinistra». Eppure, più d'uno, in maggioranza, stamattina si è svegliato con un chiodo fisso: presto, prestissimo, sarà necessaria una verifica della tenuta della coalizione, che se prima del voto non spaventava nessuno, oggi diventa sempre più un'incognita.

Sull'altro fronte, c'è l'esultanza del Pd, che piazza due sindaci su quattro nelle città simbolo: Torino e Bologna, infatti, vanno rispettivamente a Piero Fassino e Virginio Merola, abbastanza perchè Pierluigi Bersani dica «noi abbiamo vinto e loro hanno perso» e perchè Nichi Vendola, leader di Sel sostenga che «il vento sta cambiando». In casa Pd c'è quindi chi giudica superato il momento delle divisioni delle primarie, quando a Milano Pisapia sbaragliò il candidato 'ufficiale' democratico Tito Boeri e a Napoli il centrosinistra non arrivò a proporre un candidato unitario. Se Bologna è stato un risultato «scontato», un po' per tutti, è il 'derby della munnezza' tra De Magistris e Boeri a fornire un dato in più: il trionfo del dipietrista, infatti, è chiaramente frutto di un voto di protesta, che va oltre la politica pura espressa dai democratici e che viene dalla 'pancia' della città.

Il voto all'ex magistrato a Napoli fa il paio con gli 'exploit' degli outsider del movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo, che hanno piazzato i loro candidati quasi ovunque attorno al 5%, con addirittura un 9,5% a Bologna, dato che fa dire a molti che in Italia «spira un vento di protesta» e di «ostilità alla vecchia politica». Infine, il Terzo Polo che, nomen omen, si piazza terzo quasi ovunque. Due i commenti dai leader Francesco Rutelli e Pier Ferdinando Casini: «saremo dirimenti» in molte città e «c'è stato solo uno che ha voluto trasformare queste elezioni in un referendum politico. E' stato Silvio Berlusconi e ha perso».