28 marzo 2024
Aggiornato 10:30
Università 2010

I costi degli atenei italiani

L’Osservatorio Nazionale Federconsumatori presenta uno studio sui costi delle tasse universitarie negli atenei italiani

ROMA - A poco meno di un mese dall’inizio delle lezioni universitarie l’Osservatorio Nazionale Federconsumatori presenta uno studio sui costi delle tasse universitarie negli atenei italiani. A breve ne seguiranno altri sugli affitti e sui costi complessivi.
Dalle rilevazioni, effettuate consultando i siti e le guide delle Università con il maggior numero di iscritti, emerge che gli atenei del Nord sono quelli più cari: del 13,13% rispetto alla media nazionale se si considera la prima fascia, e addirittura del 31,92% se si considera il massimo importo dovuto.

La differenza appare ancor più evidente tra Nord e Sud, dove il divario, per quanto concerne la prima fascia, raggiunge il 25,27%, e sale fino all’88,87% quando si prende in considerazione la fascia contributiva più alta.
L’università più cara (prendendo in considerazione la prima fascia) è l’Università degli studi di Parma con una retta di 865,52 Euro annui per le facoltà scientifiche e di 740 Euro per quelle umanistiche, pari al 71% in più rispetto alla media nazionale.
Al secondo posto si trova invece l’Università degli studi di Milano (con una retta annuale di 685 Euro per le facoltà umanistiche e 789 Euro per le facoltà scientifiche).
In termini generali, invece, sono gli atenei del Sud ad applicare tasse più basse, con l’Università Aldo Moro di Bari in testa alle università che costano meno (sempre considerando la prima fascia), anche se bisogna sottolineare che parte dell’importo della retta è dovuta al merito: una votazione media bassa o un basso numero di crediti conseguiti, quindi, si traduce in un aumento delle tasse.

Le famiglie - Estremamente interessante è la situazione che emerge guardando al raffronto generale sul costo dell’università per le famiglie.
La maggior parte delle famiglie monoreddito di lavoratori autonomi, come gioiellieri, albergatori e macellai, stando ai dati del Ministero dell’Economia del 2009, rientrano infatti nella seconda fascia ISEE considerata, e quindi pagano in media una tassa annuale universitaria pari a 535,34 Euro, esattamente come la famiglia (sempre monoreddito) di un operaio non specializzato.
Dato a dir poco curioso, che rispecchia il quadro della distribuzione dei redditi delineato dall’Istat ad aprile 2010. Da quest’ultimo, infatti, emerge che ben il 35,4% dei lavoratori autonomi percepisce un reddito al di sotto dei 10.000 Euro annui (pari ad un ISEE di circa 5.000 Euro), rientrando, quindi, nella prima fascia di contribuzione della maggior parte delle università. Al contrario, il 49,7% dei lavoratori dipendenti percepisce un reddito compreso tra 15.001 e 30.000 Euro annui, rientrando quindi, a seconda dei casi, nella seconda o nella terza fascia contributiva.
«insomma, anche qui, come in altri settori in cui si utilizza come parametro l’ISEE, i figli dei gioiellieri pagano meno dei figli degli operai alla catena di montaggio.» – dichiara Rosario Trefiletti, Presidente Federconsumatori.