28 agosto 2025
Aggiornato 04:30

Da mesi non vede più i suoi figli, madre si appella a Frattini

Sono stati portati in Germania dal padre dopo decisione Tribunale

ROMA - Fare gli auguri a Niccolò, che compie sette anni la settimana prossima. Almeno per telefono, anche senza vederlo. E' tutta quì la richiesta di Marinella Colombo, la mamma italiana che si è vista portare via i figli dai carabinieri mentre erano a scuola, sulla base della richiesta di un tribunale tedesco. Niccolò e il suo fratellino maggiore, 11 anni, sono stati riportati in Germania e consegnati al padre. Da settimane ormai la donna non ha più notizie di loro. «Non mi permettono - spiega - neanche di parlare con loro al telefono». Del suo caso si è interessata a metà maggio la presidente della Commissione bicamerale per l'infanzia, Alessandra Mussolini, ma finora senza risultati. L'unico che possa davvero smuovere le cose, a questo punto, spiega il presidente dell'Associazione degli avvocati matromonialisti italiani (Ami), Gian Ettore Gassani, è il ministro degli Esteri, Franco Frattini. «Chiederemo audizione a lui - ha annunciato questa mattina in un incontro con la stampa sul caso - ma proveremo anche con il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, della Giustizia, Angelino Alfano e con quello delle Pari opportunità, Mara Carfagna. Il nostro obiettivo - ha sottolineato - è stabilire un precedente, perché quello che è successo alla signora Colombo può accadere a migliaia di italiani residenti in Germania».

Il caso inizia nel'estate del 2008. La signora è separata dal marito, Jörg Tobias Ritter, da due anni; i bambini vivono con lei a Taufkirchen, nei pressi di Monaco di Baviera. La multinazionale per la quale la donna si occupava di risorse umane chiude la sede di Monaco, e le propone il trasferimento a Milano. Lei inoltra richiesta al tribunale di lasciare la Germania e trasferirsi in Italia, con i bambini, impegnandosi a riportarli dal marito, perché possano passare qualche ora insieme, almeno una volta al mese, e di consentire a lui di visitarli in Italia quando vuole. Il tribunale nomina due curatori dei bambini, funzionari dello Jugendamt, una istituzione tedesca che rappresenta gli interessi dei bambini. Sulla base del loro consiglio, il tribunale respinge la richiesta. Lei fa ricorso e in appello la richiesta viene nuovamente respinta. A quel punto, è metà settembre, lei carica i figli in auto e li porta a Milano e la situazione degenera. Il tribunale emette infatti un ordine di cattura nei confronti della donna per sottrazione di minori. A fine ottobre le si costituisce a Milano e viene rilasciata con obbligo di firma settimanale. I figli intanto hanno ripreso la scuola. Finché a dicembre il tribunale dei minori di Milano accoglie la richiesta dello Jugendamt per il rimpatrio dei bambini, anche se a gennaio la Corte d'appello di Milano respinge la richiesta di estradizione della donna. Risultato, l'8 maggio i carabinieri prelevano i bambini a scuola durante la lezione e li spediscono in Germania. I compagni di classe e le maestre organizzano anche un presidio in piazza della Scala, ma ormai è tutto inutile.

A quel punto inizia la battaglia della donna per rivedere i propri figli. Il punto, spiega Gassani, è che quella che poteva essere una normale situazione di separazione, si è trasformata in una causa internazionale dai risvolti poco chiari. Sembra infatti che l'obiettivo primario dello Jugendamt sia quello di mantenere i minori sul suolo tedesco, obiettivo che riesce frequentemente a raggiungere, grazie alla fiducia di cui gode presso i tribunali in Germania. Il caso, sottolinea l'avvocato, è tutt'altro che isolato: sono centinaia le petizioni giunte al Parlamento europeo che denunciano «misure discriminatorie e arbitrarie che avrebbero compiuto le autorità preposte alla tutela dei giovani in alcuni stati membri, in particolare dallo Jugendamt in Germania. Tali petizioni - sottolinea un documento di lavoro della Commissione per le petizioni del Parlamento europeo - sono particolarmente difficili da valutare a causa dell'estrema delicatezza di ciascun singolo caso». Ma, aggiunge, «va riconosciuto che l'operato dello Jugendamt sembra comunque essere una questione di reale preoccupazione per molti cittadini europei e deve quindi essere affrontata con urgenza dalle autorità responsabili».

Il Ceed (Consiglio europeo dei bambini del divorzio), è un'associazione che riunisce genitori con problemi legati all'affidamento dei figli, in particolare a causa di difficoltà di carattere intenazionale. Questa associazione denuncia decine di casi simili a quello della Colombo. Uno è quello di Massimo Casalegno, un italiano, naturalizzato in Germania, sposato con una cittadina marocchina. L'uomo aveva trovato un impiego in Svizzera, e si voleva trasferire lì con la moglie. L'intervento dello Jugendamt, sostiene il Ceed, ha spinto il tribunale a sottrarre loro i minori, con l'accusa di maltrattamenti. Un altro caso è quello di Beata Pokrzeptowicz, una donna polacca, che dopo quattro anni di battaglie, ha sostanzialmente rapito suo figlio ed è scappata in Francia. «In caso di separazione - sottolinea il Ceed - lo Jugendamt cerca, con ogni mezzo, di svantaggiare il genitore straniero. Nei documenti ufficiali - denuncia - si ribadisce fermamente che l'educazione bilingue è negativa per lo sviluppo dei bambini». «Quello che chiedo alle autorità italiane - spiega a questo punto la Colombo - è semplicemente di esaminare il caso direttamente, di vedere le carte che io posso presentare e ascoltare la testimonianza dei bambini. Il problema è che finora l'Italia si è semplicemente attenuta alle decisioni prese in Germania. Bisogna invece che il sistema giudiziario italiano si occupi direttamente del mio caso».