28 agosto 2025
Aggiornato 10:00
Decreto Gelmini

«Non è una riforma, ma meno istruzione per tutti»

Intervento in aula di Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato in dichiarazione di voto

Forse la migliore definizione di questo complesso di interventi sulla scuola e sull'università l'ha data la presidente di Confindustria, la dottoressa Marcegaglia, che ha detto che questa non è una riforma ma un taglio. Il decreto Gelmini è solo meno scuola per tutti. Una disposizione destinata esplicitamente al contenimento della spesa pubblica (l'articolo 64, comma 6, ma anche l'articolo 67, destinato all'università, della legge n. 133): una norma ideata sulla scorta di un'esigenza contabile diventa, direi per precipitato, riforma.

Si sono riuniti didatti, psicopedagogisti, insegnanti, presidi, direttori didattici, docenti universitari e rettori per discutere della riforma necessaria della scuola e dell'università italiana? Si sono convocate le Regioni, gli enti locali, i sindacati? No. Si è sentito il parere del Consiglio superiore della pubblica istruzione? Non pare. Otto anni di sperimentazione per il modulo, nel passato non toccato dalla ministra Moratti? Roba vecchia.
Colpisce la relazione del provvedimento, il modo con cui viene non giustificato; un cambiamento così radicale introdotto nella scuola elementare, la sesta al mondo, secondo le classifiche redatte dalle agenzie internazionali. Chi l'ha detto che debba essere così? Il ministro Gelmini. E perché? Perché il ministro Tremonti ha deciso di tagliare proprio sulla scuola, proprio sulla scuola elementare. E chi ha deciso che l'università, la scuola, il sapere, la formazione e l'apprendimento non sono una priorità per un Paese in difficoltà? Chi ha deciso che per superare la crisi non bisogna, come avviene altrove nel mondo, anche nei Paesi emergenti, puntare sull'intelligenza, sui talenti, sul sapere, sulla competizione di ciò che si sa, di quello che si vale? Nessuno. Erano ragionamenti troppo complessi se si doveva approvare una manovra in nove minuti e mezzo.

D'altra parte, a che serviva? Tanto agli italiani si ammanniva il grembiulino, il sette in condotta e il maestro del libro «Cuore» e questo sarebbe bastato. Saranno tutti contenti, pensava il Pdl. Non è andata così, ministro Gelmini, non è andata esattamente così.
Quello che colpisce di queste giornate complesse, difficili e talvolta anche aspre, è questo disprezzo per le ragioni degli altri, questo 'non cale'. Chi protesta, chi non è d'accordo è disinformato, strumentalizzato, facinoroso, o è, come dice il presidente Gasparri, un cretino in malafede. Mi colloco spontaneamente nella categoria, anzi tutto il mio Gruppo: tutti cretini in malafede! E bugiardi anche, sì, anche fascio-comunisti, sempre per restare alle parole di Gasparri. Mentre là fuori, ovunque, nelle scuole e nelle università, ci sono non solo studenti, ma anche tanti docenti, tante famiglie.

E poi c'è il suo silenzio, ministro Gelmini, me lo lasci dire, indifferente, opaco, ma anche così esplicito. Ieri in quest'Aula lei è stata incalzata dai nostri colleghi, ripetutamente le sono state poste alcune domande. Sono le stesse domande che si fanno migliaia di famiglie italiane.
Gliene ricordo una per tutte, quella che riguardava il tempo pieno: ma insomma, il tempo pieno c'è o non c'è nella scuola che lei immagina? Se c'è, accogliete i nostri emendamenti: sono quelli che mettono in chiaro l'ambiguità del vostro comportamento. Rispetto a tali questioni lei ha taciuto.
Colpisce, di fronte a questo silenzio, a questa afasia, mi lasci dire a questa cupa determinazione, la parola degli studenti. Io ho qui poche righe degli studenti del liceo classico «Orazio» di Roma, che sono ragazzi provenienti da famiglie diverse per collocazione sociale e che probabilmente hanno anche ideali diversi, pensano diversamente, si collocano diversamente sull'incerto scacchiere della politica. «Non essendo stati ascoltati da nessuno - si legge nella lettera - riguardo a questa riforma sentiamo il bisogno di portare la nostra voce all'interno dell'Aula del Senato. L'Italia ha assistito in questi giorni alla discesa in piazza di decine di migliaia di studenti di ogni ordine e grado. Persino professori, docenti universitari, dirigenti scolastici hanno tentato di difendere questa scuola che sino ad oggi è riuscita a garantire a tutti i giovani un dignitoso livello di istruzione nonostante i numerosi tagli di cui essa è stata spesso oggetto».

Non sono di parte: difendono la scuola pubblica. «Oggi il Ministro della pubblica istruzione sta cercando di infliggere un colpo di grazia alla nostra scuola che dalla fine della Seconda guerra mondiale garantisce in modo paritario un'adeguata istruzione, perché tutti abbiano la possibilità di inserirsi nel tessuto sociale del nostro Paese, un Paese democratico».
Si dice, poi, in fondo: «Questo non è un semplice decreto, signori del Governo, Presidente del Senato, onorevoli senatori: questo è il nostro futuro, è il futuro del Paese. È a voi che rivolgiamo l'ultimo, estremo appello perché qualcuno finalmente prenda finalmente in considerazione il nostro parere, quello degli studenti».
Non sono parole di facinorosi, non sono parole di eversori: sono le parole di ragazzi e di ragazze che possono essere tranquillamente i nostri figli, gli amici dei nostri figli, i nostri parenti; ragazzi e ragazze che avvertono questo rischio. Cosa c'è di ingiurioso per tacere di fronte a questo, ministro Gelmini, e per negare il confronto, una parola d'ascolto, una parola di dialogo?
La maggioranza e il governo pensano che una volta approvato questo decreto sia finita qui, ma non è così per noi. Credo che non sarà così neanche per il movimento che si è acceso nel Paese. Fra poco ragioneremo in quest'Aula sul decreto-legge n. 154 del 2008 sulla sanità, ed esamineremo la norma che prevede il commissariamento delle Regioni che non ottemperino al diktat di abolire alcuni istituti scolastici. Lo ricordo al presidentedel gruppo della Lega Bricolo per due ragioni. In primo luogo perché questo dimostra qual è la concezione della relazione fra Stato centrale e Regioni, e mostra come la battaglia della Lega sul federalismo fiscale si sia ridotta a una bandierina agitata.
Signor Ministro, lei ha dichiarato «gutta cavat lapidem»: la goccia del suo silenzio, della sua muta determinazione, della sua cieca obbedienza al dettato tremontiano, del suo tapparsi le orecchie e anche la bocca, ma le voci entrano lo stesso. Ma fuori c'è la vita.