27 aprile 2024
Aggiornato 01:00
Amazon sbarca vicino Roma

Amazon, il nuovo Centro di Distribuzione nel Lazio darà lavoro a 1200 dipendenti. Ma a quali condizioni per i lavoratori?

Amazon ha deciso di investire 1500 milioni di euro a Fara in Sabina e creerà circa 1200 nuovi posti di lavoro entro tre anni. Ma l’inchiesta del New York Times solleva forti perplessità sulle future condizioni di lavoro degli amazonians

ROMA – Amazon ha annunciato di voler aprire un nuovo Centro di Distribuzione nel Lazio, a Fara Sabina, in provincia di Rieti. Il nuovo polo logistico dovrebbe creare 1200 posti di lavoro entro tre anni dall’apertura dell’attività. Per il sindaco del comune si tratta di un «risultato importante» che potrebbe rilanciare l’economia e l’occupazione del territorio. Ma l’azienda statunitense di commercio online per eccellenza è stata tristemente nota alle cronache per lo scandalo sulle presunte condizioni di lavoro dei suoi dipendenti, ritenute dal New York Times disumane e degradanti. Dobbiamo gioire o preoccuparci per le sorti dei futuri amazonians di Passo Corese?

Amazon investe 1500 mln di euro nel Lazio
Amazon sbarca nel Lazio e decide di puntare 150 milioni di euro su una frazione di Fara in Sabina, in provincia di Rieti: Passo Corese. Una località nota solo ai suoi 6480 abitanti e a qualche romano che d’estate decide di andare a prendere il sole negli stabilimenti balneari siti da quelle parti. L’azienda statunitense di commercio online ha scelto questa minuscola località per creare il suo nuovo polo logistico, per il quale, nel giro di tre anni, potrebbero lavorare circa 1200 addetti. Praticamente 1/5 della popolazione del luogo.

1200 nuovi posti di lavoro entro tre anni
Come abbiamo già avuto modo di sottolineare, il sindaco di Fara in Sabina, Davide Basilicata, si è detto «felice e orgoglioso» per la notizia, che considera «un risultato decisivo» per il rilancio economico ed occupazionale del territorio. Anche noi siamo convinti che la creazione di 1200 posti di lavoro sia una manna per la regione Lazio, ma non possiamo dimenticare lo scandalo esploso la scorsa estate (era agosto 2015) a seguito dell’inchiesta realizzata dal New York Times sulle condizioni di lavoro dei dipendenti di Amazon.

L’inchiesta del New York Times
Forse ricorderete che il quotidiano statunitense aveva intervistato circa cento dipendenti ed ex dipendenti dell’azienda dedita al commercio online e dai loro racconti il lavoro presso Amazon veniva descritto come una sorta di incubo a occhio aperti: ritmi massacranti (fino a 80 ore settimanali), crisi di pianto tra i dipendenti, telecamere nascoste in bagno, ambulanze parcheggiate fuori l’edificio pronte a trasportare in ospedale chi si sentiva male perché non sosteneva più lo sforzo fisico e psichico dello stress da super-lavoro, l’ossessione per il cliente, per l’efficienza e la produttività.  

La replica del Ceo di Amazon
All’inchiesta del New York Times, però, il fondatore di Amazon aveva prontamente risposto con un’email ai suoi dipendenti, ribattendo che la realtà dell’azienda era molto diversa da quella descritta nell’articolo e invitandoli a segnare al personale delle risorse umane qualsiasi episodio spiacevole fosse capitato loro. Non ci è dato sapere quale delle due versioni corrisponda a verità, se quella del quotidiano statunitense o quella del Ceo di Amazon, ma possiamo sottolineare almeno un paio di questioni. La prima riguarda il sistema di valutazione dei dipendenti in uso presso l’azienda, l’Anytime feedback tool.

L’anytime feedback tool
Si tratta di uno strumento utilizzato per incentivare i lavoratori ad essere più produttivi ed efficienti, che si basa sui giudizi reciproci che i dipendenti si assegnano l’un l’altro. Il risultato, però, secondo l’articolo pubblicato su Internazionale, molto spesso danneggia i dipendenti più deboli e isolati, causandone il licenziamento, non solo perché meno produttivi ed efficienti, ma anche perché sgraditi o malati. Il modello dell’azienda sembra incoraggiare i lavoratori a mettersi l’uno contro l’altro, fino al punto da rendere ostile l’ambiente di lavoro, per asfaltare qualsiasi forma di solidarietà umana che possa rivelarsi d’impaccio per le regole del business.

La nuova strategia aziendale nei confronti degli amazonians
Tuttavia, è necessario altresì sottolineare che dallo scandalo relativo alle condizioni di lavoro dei suoi dipendenti, qualcosa sembra essere cambiato. In meglio, almeno in Italia. Secondo un altro recente articolo pubblicato da Alessandro Da Rold sul Linkiesta, nello stabilimento Amazon di Castel San Giovanni, infatti, i dipendenti sembrano vantare condizioni decisamente migliori. Sono circa 1000 lavoratori, età media 31 anni, per il 37% donne, hanno un contratto a tempo indeterminato e percepiscono circa 1450 euro al mese se sono neoassunti. Il sito è grande come 12 campi di calcio ed è visitabile una volta al mese. L’azienda ha infatti organizzato dei tour aperti al pubblico per promuovere la trasparenza con il cliente. Forse, nel cuore pulsante del consumismo globale, si è fatta strada l’idea che per continuare a guadagnare bisogna salvaguardare il  rapporto fiduciario con i consumatori, che passa anche per il rispetto dei diritti dei lavoratori. Ci auguriamo che la lezione imparata valga anche per i futuri amazonians di Fara in Sabina.