24 agosto 2025
Aggiornato 09:30

L’ultimatum di Marchionne fa arrabbiare i sindacati

Anche per Cisl, Uil e Ugl è sbagliato chiedere un “sì” o un “no” definitivo

TORINO - Si ha l’impressione che sulla Fiat e sul progetto «Fabbrica Italia» di Marchionne si stia giocando una partita che va di là della produzione di auto.

RIVOLUZIONE MARCHIONNE - L’amministratore delegato della Fiat non vuole solo portare a casa un accordo favorevole all’azienda che conduce. Vuole rivoluzionare il sistema delle relazioni industriali in Italia.
Vuole fare da apripista alla creazione di un universo produttivo lontano anni luce dalla attuale organizzazione del lavoro nel nostro Paese.
Marchionne ha spiegato bene in quali acque intende navigare nella lettera aperta che, fatto inusuale soprattutto in Fiat, ha inviato ai propri dipendenti in occasione del referendum su Pomigliano.
Il suo ragionamento è sintetizzabile in due principi:
primo) i lavoratori e l’azienda hanno un obiettivo comune, stare sul mercato, vincere la concorrenza e fare profitti;
secondo) i lavoratori devono contribuire al conseguimento di questo risultato ottimizzando il loro apporto produttivo (e quindi,in Italia,aumentando la loro produttività con tempi di lavoro più accelerati e meno assenze), mentre l’azienda deve reinvestire i profitti in investimenti che generino altri posti di lavoro e ulteriore redistribuzione dei profitti.
La lettera di Marchionne concludeva poi con un accenno paragonabile ad un padre che, indicando ad un figlio la strada maestra per il proprio avvenire, avesse aggiunto: «non è colpa mia, figliolo, se la vita richiede sacrifici per ottenere risultati. E’ così che vanno le cose del mondo».

L’ULTIMATUM - Con una risolutezza pari alla consapevolezza che ha dimostrato nel rendersi conto che quanto chiede non è poco, oggi Marchionne pone questo ultimatum: o dite un «sì» senza «se» e senza «ma» al progetto «Fabbrica Italia», o la Fiat si rende conto che in questo Paese non è possibile fare nulla e ne trarrà le conseguenze. Che tradotto vuol dire: in un modo o nell’altro la Fiat andrà a fabbricare le proprie auto e a fare investimenti altrove.

«Fabbrica Italia - ha spiegato Marchionne - è nata per sanare le inefficienze del nostro sistema industriale ed è nata dalla nostra volontà di trasformare l'Italia in una base strategica per la produzione e le esportazioni di vetture». Non si tratta dunque di «un accordo - precisa Marchionne - ma di un nostro progetto: non è stato concordato ne' con il mondo politico ne' con il sindacato». per questo «e' incredibile la pretesa che ho sentito più volte rivolgere alla Fiat di rispettare un presunto 'accordo'. Non c'è stato nessun accordo al di là di quello per Pomigliano». «Decidere di portare la nuova Panda a Pomigliano - ha concluso Marchionne - non è stata una soluzione ottimale da un punto di vista industriale e finanziario. Sarebbe stato molto più conveniente confermarla in Polonia dove è stata prodotta negli ultimi sette anni con livelli di qualità eccezionali. Lo abbiamo fatto considerando la storia della Fiat in Italia».

I SINDACATI SI RIBELLANO - Tutti sappiamo che in Italia non c’è niente di più indigesto della «pretesa» di avere una risposta chiara, netta e definitiva.
E la conferma di questa fobia per i patti senza vie di fuga precostituite non si è fatta attendere. Anche quei sindacati che, la contrario della Fiat avevano accettato lo scambio «più produttività, più investimenti in Italia si sono subito risentiti e hanno interpretato le parole definitive di Marchionne come un ultimatum da rifiutare come un affronto.
Nessuno dei sindacalisti si è posto il problema di come essi stessi sono soliti comportarsi nelle loro trattative private quando si arriva al momento della conclusione. Molte volte essi stessi avranno pronunciato o avranno ascoltato le frasi di rito : «allora la mia macchina usata te la compri o non te la compri?» «Il tuo appartamento me lo affitti o non me lo affitti?». E ogni volta, sicuramente, si saranno guardati bene dal dare alle domande fatte o ricevute il senso di un ultimatum.
Probabilmente Marchionne si ostina a ritenere che nel mondo del lavoro debbano valere le regole comunemente accettate nel vivere quotidiano. Insomma che una trattativa sia una trattative e non un trattato ideologico-filosofico.
Si vede che ha vissuto tanto tempo fuori dall’Italia.