23 agosto 2025
Aggiornato 08:00
La seconda giornata di «Economia 3 – Europa, business, cultura» a Prato

Alesina: «La globalizzazione non è il diavolo»

«L'America si riprenderà. Su Alitalia sbaglia chi dice italianità a tutti i costi»

«Difendere a tutti i costi l'italianità di una compagnia aerea, come anche di una banca, non ha alcun senso. E' un obiettivo inutile. Abbiamo rinunciato alla moneta italiana, perché dovrebbe essere così grave non avere più un'Alitalia italiana». E' una delle poche incursioni sull'attualità nazionale del professor Alberto Alesina, economista che insegna all'Harvard University, oggi protagonista di una lunga lezione sulla globalizzazione al teatro Metastasio di Prato, nella seconda giornata del forum «Economia3» organizzato dalla Regione Toscana. «L'Alitalia - spiega il professore - era un'azienda che doveva uscire dal mercato anni fa: avremmo fatto risparmiare soldi ai contribuenti. E la si doveva vendere al miglior acquirente, italiano o straniero non importa: evitando di creare posizioni di monopolio, ma mirando unicamente a creare un sistema di collegamenti aerei in grado di funzionare».

Alitalia a parte - davanti ad oltre duecento persone, molti studenti, qualche insegnante e qualche imprenditore, protagonisti a loro volta di numerose domande - il professore parla della crisi finanziaria americana, quella di oggi e quella «molto diversa e più pesante» del 1929, difende il mercato e il capitalismo, «che è ancora vivo e vegeto», sostiene i vantaggi della globalizzazione, ne racconta la storia ed attacca chi vorrebbe invece un ritorno ad un intervento pesante dello Stato sui mercati e nell'economia.

Tutti oggi hanno paura della crisi finanziaria americana. «Ma passerà - sottolinea ottimista Alesina - Magari ci vorranno due o tre anni. Magari il Pil americano perderà il 2 o 3% ogni anno. Ma gli Stati Uniti sono cresciuti negli ultimi lustri a ritmi sostenuti e tra qualche anno guarderemo a questa crisi solo come ad un brutto momento, oramai alle spalle». A meno che la politica non commetta gli errori gravi che commise anche nel 1929: perché, per il professore, «i problemi difficili hanno soluzioni facili, ma spesso si sbagliano le soluzioni». Nel 1929 la politica sbagliò tutto e il Pil perse il 30 per cento: fu ridotta la liquidità, il governo intervenne «nella contrattazione tra imprese e lavoratori», contro gli speculatori finanziari e istituendo dazi e tariffe. Sbagli del presidente Hoover, a cui Roosevelt dovette mettere una pezza. «Oggi - spiega Alesina - le banche centrali si sono comportate bene». La colpa della politica americana, per il professore, è stata però quella di aver sottovalutato ed anzi incentivato l'eccessivo indebitamento degli americani. «I regolatori o dormivano o avevano interesse a dormire» dice. Quanto all'intervento di Bush («il minore dei mali in questo momento«) «sarà costoso - aggiunge - ma alla fine funzionerà». E qui torna di nuovo a parlare dell'Italia. «Se il nostro paese è in crisi non è colpa della globalizzazione o della Cina. La nostra stagnazione dura da dieci e più anni». La ricetta è specializzarsi nei settori dove ancora abbiamo maggiori vantaggi: più servizi e meno industria pesante, sopratutto se diventa più un fardello che un vantaggio. Una ricetta che potrebbe valere anche per il distretto laniero pratese. «Certo - sottolinea - le trasformazioni sono difficili e sta qui il ruolo dello Stato, che deve sostenere questi aggiustamenti». «Il problema - aggiunge - è che in Italia manca un adeguato sistema di sicurezza: spendiamo troppo nelle pensioni (ed andiamo in pensione troppo presto), ma investiamo poco sulle assicurazioni per la perdita del lavoro o sulla riqualificazione professionale».

L'apertura al commercio internazionale rimane comunque un bene, conclude. Va combattuta l'illegalità, dice, ma altri paletti non vanno posti. Rimane il rischio della globalizzazione delle crisi, dello sfruttamento intensivo delle risorse in certi paesi e della sicurezza sul lavoro in altri. «Ma per mangiare il dolce - sintetizza con una battuta - bisogna mangiare prima gli spinaci». La globalizzazione più recente, è la tesi del professore, ha ridotto le disuguaglianze tra paesi ricchi e paesi emergenti. Ne ha creato altre all'interno. E qui la risposta, sempre per Alesina, non può che essere nelle politiche fiscali: tasse più alte per i ricchi e più basse per i poveri.