24 aprile 2024
Aggiornato 11:30
Oggi cucino io

La coda alla vaccinara

Piatto simbolo della cucina romana dedicata al quinto quarto, nato nel quartiere Regola, dove vivevano i Vaccinari.

ROMA - I grandi piatti sono quelli che varcano le mode e i secoli. Cosa li rende classici? la continuità e il desiderio di continuare a replicare giornalmente una ricetta intramontabile, quella che è arrivata ad oggi partendo dal settimo Rione di Roma, il Rione Regola, nel cuore della Città Eterna

RIONE REGOLA - Laddove abitavano i vaccinari, la coda alla vaccinara è considerata la «regina» del quinto quarto ovvero quel che rimane della bestia vaccina dopo che sono state vendute ai benestanti le parti pregiate. Del quinto quarto fanno parte la coda, la trippa, la pajata, il cuore, la milza, e tutte le frattaglie e gli ammenicoli.

LA RICETTA - Esistono due versioni principali, che si differenziano soprattutto nella parte finale della preparazione dove in una viene preparata una salsa a base di cacao amaro, pinoli e uva passa, mentre nell'altra no. Tuttavia per nessuna delle due varianti si può parlare di ricetta originale in quanto entrambe convivono da molti decenni nelle varie trattorie, e quindi rimane una questione di gusto, del cuoco e del cliente. La prima versione è quella indicata anche da Ada Boni nel suo libro «La cucina romana» (1929). L'autrice, avendo come obiettivo principale una cucina casalinga, indica una preparazione dal doppio uso: prepara con la stessa carne un primo piatto con il brodo ottenuto lessando la coda, e poi un secondo di carne costituito dalla coda alla vaccinara vera e propria.

COME PROCEDERE - La coda andava bollita, in modo tale che il brodo si potesse utilizzare per altri piatti. La carne continuava la cottura in un tegame dove era stato fatto soffriggere un trito di aglio, cipolla, prezzemolo, carota, lardo e una fettina di prosciutto. Quindi veniva aggiunta un po' di salsa di pomodoro, parte del brodo e il sedano sbollentato. La cottura proseguiva fino a che la salsa non si era ristretta. Nell'altra versione si prende una coda di bue e la si lava sotto l'acqua corrente per toglierle le tracce di sangue. Si taglia a pezzi e la si mette a rosolare con un trito di lardo (o guanciale) e olio. Appena rosolata si aggiunge una cipolla tritata con due spicchi d'aglio, dei chiodi di garofano, sale e pepe. Si fa evaporare l'acqua buttata fuori dalla coda, si sfuma con del vino bianco secco laziale e si fa cuocere per un quarto d'ora coperta. Quindi si aggiunge un chilo di pomodori pelati a pezzi. Si lascia cuocere per circa un'ora, poi si allunga la salsa con dell'acqua calda o brodo fino a coprire la coda e si prosegue la cottura per altre 3 ore. Nel frattempo si lessa del sedano. Appena pronto, si scola e si mette in un tegame con un po' di sugo della coda, i pinoli, l'uva passa e il cacao amaro. Questa salsa va fatta bollire per qualche minuto e poi va versata sulla coda al momento di servire.